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Centro | 02 agosto 2017, 07:00

C’era una volta il calcio...

Un calcio in cui i giocatori nascevano in una squadra, di cui erano orgogliosi portabandiera e in cui passavano la totalità della loro carriera agonistica, fieri di concluderla con la stessa casacca con cui l’avevano iniziata

C’era una volta il calcio...

C’era una volta il calcio.
Un calcio in cui i giocatori nascevano in una squadra, di cui erano orgogliosi portabandiera e in cui passavano la totalità della loro carriera agonistica, fieri di concluderla con la stessa casacca con cui l’avevano iniziata. No no no, troppo romantico, troppo arcaico. Rifacciamo.

 
Un calcio in cui i giocatori nascevano in una squadra e solo per i migliori di essi si prospettava l’ipotesi di migrare altrove, a intascare qualche soldino in più di premi partita e cercare di arricchire il palmares personale con qualche titolo. No, anche questo è un po’ troppo retrò. Da capo.

 

Un calcio in cui i giocatori, pur fieri della loro provenienza, cambiavano squadra, ma con dispiacere e al massimo un paio di volte in carriera, la prima per passare dalla squadrata d’origine allo squadrone che li aveva cercati e la seconda per andare a chiudere la carriera in un qualche buen retiro, magari in una località che era anche gradevole da vivere. Ancora troppo old style. Riproviamo.

Un calcio in cui la Juventus degli Agnelli era la padrona assoluta del mercato, introduciamo questa parola così sgradevole, trattandosi tutto sommato di uomini, non di oggetti, e quando vedeva un giocatore che le interessava andava dal club di appartenenza dicendo: quanto vuoi? Dieci, era la risposta. Te ne do otto e l’affare si concludeva così. Ecco, un po’ alla volta ci stiamo avvicinando.

Un calcio in cui il Milan di Berlusconi stava soppiantando la Juventus, andando dai club di appartenenza del giocatore appetito e pagando i dieci richiesti senza batter ciglio. Si, ci siamo quasi. Ancora un piccolo sforzo.

 
Un calcio in cui l’Inter di Moratti, nel tentativo a sua volta di ribaltare lo strapotere cittadino dei rossoneri, quando andava a chiedere il prezzo e gli dicevano: Dieci, rispondeva: o dodici o nulla, lasciando a bocca spalancata i fortunati beneficiari di cotanta generosità. Questo è il calcio che ha fatto scuola fino ad oggi, tra alti e bassi e alterne fortune.


Poi sono arrivati gli sceicchi e i loro petrodollari, che non sanno nemmeno loro esattamente quanti ne hanno, probabilmente non li contano nemmeno più, fatica sprecata, li pesano a quintalate e via.

Non vanno nemmeno più dal club di appartenenza del campione o auspicato tale. Vanno dal suo procuratore, si mettono d’accordo sull’ammontare dell’ingaggio e al club d’origine fanno una telefonata per avere l’IBAN per il bonifico della clausola rescissoria, pagata così, senza batter ciglio, come dare la mancia al croupier al Casinò.

E se per caso ci sono delle regole, considerate balzane eccentricità, si scavalcano e si aggirano, alla faccia dell’UEFA che, livida di rabbia, indaga senza arrivare a nulla. Tanto se pure si decidessero a comminare una multa, pagherebbero anche quella, magari arrotondando per eccesso, così si bevono qualcosa, rigorosamente di analcolico, alla loro salute.

Così non ci resta che raccontare ai nostri increduli figli, di capitan Valentino, che essendo più bravo degli altri, riceveva premio partita doppio, proprio per decisone unanime dei suoi compagni. Gente che, è bene ricordarlo, guadagnava un onesto stipendio simile o di poco superiore a quello di un lavoratore medio, mica gli ingaggi stellari del giorno d’oggi, che arrivano a cifre annue superiori a quanto guadagnato dal povero lavoratore medio in tutta la sua vita.

E quando loro penseranno che li stiamo prendendo in giro, forse anche noi penseremo, finalmente, di essere stati presi in giro da questo sistema ormai allo sfascio morale, in cui il confine tra gli Immortali di Superga e gli Immor(t)ali di oggi è una tremula fata morgana che si perde all’orizzonte.

Domenico Beccaria

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