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Immortali | 21 marzo 2018, 07:00

Generazioni a Confronto

È curioso constatare come la stessa cosa possa essere osservata da punti vista opposti, anche perfettamente agli antipodi l'uno dall'altro

Generazioni a Confronto

È curioso constatare come la stessa cosa possa essere osservata da punti vista opposti, anche perfettamente agli antipodi l'uno dall'altro.

Per assurdo, passatemi la provocazione, Harvey Weinstain può essere considerato il boia che ha approfittato di decine o forse centinaia di giovani aspiranti attrici per il suo piacere e la sua lussuria, oppure il salvatore che a queste stesse giovani attrici ha offerto un futuro di fama e ricchezza. Si tratta solo di decidere se il prezzo che hanno pagato, volenti o nolenti lasciamo stare, ci inoltreremmo in un campo minato da cui sarebbe difficilissimo uscire, sia stato equo o no, giusto o no. E qui entrano in ballo la morale, l'educazione, il buon gusto, tutte cose che, in parte più o meno grande, sono figlie del nostro vissuto e della società che ci ha dato questo vissuto.

Tutto questo cappello introduttivo, per capire meglio insieme quale sia la visione che la gente granata ha della situazione attuale e di chi, essendone il presidente e socio unico, ne è il responsabile principale, essendo comunque quello che ha fatto le scelte che hanno portato il Torino a questo punto. Inutile nascondersi dietro al magro dito dell'allenatore o dei giocatori. Uno li ha scelti e messi lì e uno ne risponde.

A questo proposito, ho avuto modo di constatare come, nel giudizio sull’operato di Cairo che si evince dalla lettura dei commenti sui social, si sia creato uno spartiacque generazionale che ha il suo fulcro ad Amsterdam.

I veterogranata, ossia quelli che hanno vissuto lo scudetto del 76 e le finali UEFA 1992 e Italia 1993, sono per la maggior parte critici, perché hanno avuto modo di conoscere presidenti come Pianelli e Rossi, che hanno messo sul tavolo di gioco fior di quattrini, portando a casa successi e risultati tangibili. Ed anche presidenti come Borsano, che giocando sull’azzardo di una risicato castello in aria, ha portato via Martin Vazquez al Real Madrid e messo su uno squadrone che ha centrato due finali in due anni, una vinta e l'altra non persa. Insomma, il nome del Toro era conosciuto e rispettato in Europa e non solo.

Vero, il calcio era diverso da oggi, non esisteva il FairPlay finanziario e l’ambiente pullulava di presidenti non proprio trasparenti. Però in cambio ogni anno avevi la possibilità di giocartela e non guardavi la classifica dei fatturati per sapere quale sarebbe stata la classifica sportiva a fine stagione.

I neogranata, per questioni puramente anagrafiche, si intenda, non per demeriti cronologici, ovvero quelli nati dopo quei fasti che sembrano, anzi sono ormai così lontani nel tempo, paiono invece prevalentemente più tolleranti verso questo modo moderno di approcciare il calcio. Due o tre “grandi” che fanno il bello e il brutto tempo a loro piacimento e per gli altri le briciole. Una lenta ma inesorabile polarizzazione verso questi astri sportivo-economici delle giovani leve di tifosi, indotti dai media perfettamente asserviti al sistema, visto che parlano e scrivono massimamente di queste tre o quattro realtà, dimenticando o relegando a spazi infinitesimali tutto il resto del movimento calcio, a immedesimarsi in realtà spesso estranee, dimenticando l'ombra del campanile sotto il quale si è nati.

Se è fisiologico che le squadre vincenti attraggano ammirazione e consensi un po' ovunque, come capitò al Grande Torino, all’Inter di Moratti padre e al Milan di Liedholm prima e Rivera poi, per arrivare fino alla Juve dell’Avvocato, al Milan di Berlusconi e all'Inter di Moratti figlio, è altrettanto fisiologico che esistano e resistano sacche di sano ed orgoglioso campanilismo.

Devo essere sincero, provo profonda invidia per squadre come Hellas e Atalanta, giusto per far due esempi, di realtà che pur avendo vissuto o ancora vivendo difficoltà sportive, possono contare su quote abbonamenti decisamente superiori, non solo in termini assoluti, ma anche relativi, rispetto al territorio ed al bacino di utenza, di quelle granata.

Mi vengono le lacrime agli occhi quando vedo che squadre come Napoli e Fiorentina, ripartite dalla C dopo il fallimento, hanno goduto e ancora godono di successi e soddisfazioni sportive cui noi manco pensiamo lontanamente.

Giova ricordare che qui da noi qualcuno si è creato una reputazione con le vittorie di un derby e di una partita a Bilbao, a galleggiare in cinque anni di grigia mediocrità. Basta, mi fermo qui che se no la rabbia prende il sopravvento sulla lucida analisi, che invece è quella che vorrei proporre come momento di riflessione a chi leggerà questo pezzo, come al solito molto sofferto e proveniente dal profondo di un cuore granata sanguinante.

Sarebbe fin troppo facile chiudere qui con l’abusato “ai posteri l'ardua sentenza”, lasciando la discrezionalità di crearci un giudizio al buon cuore dei diretti interessati, che proprio perché interessati tirano l'acqua al loro mulino.

Il mio invito è di saper guardare oltre a queste logiche sfacciatamente mercantili, che nulla hanno a che fare con lo sport, e restituire ai nostri cuori l’orgoglio di sostenere la squadra di casa, non la più ricca, e ridando così al calcio tutta la sua imprevedibilità e bellezza, lontana anni luce dalla grigia omologazione cui stanno tentando di indottrinarci oggi. Cogito ergo sum!

Domenico Beccaria

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