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Attualità | 07 dicembre 2018, 09:02

Una bandiera che garrisce al vento

Nei decenni passati, imbandierare i balconi in vista del derby era una costante

Una bandiera che garrisce al vento

Il ricordo torna a tanti anni fa, quando l’uscita dalla pubertà incrociava la strada della giovinezza. 

Barriera di Milano era un laboratorio sociale, con le varie ‘bande’ annidate in ogni dove: nei bar, sulle panchine dei giardini, attorno alle piazze. 

Radio Manila, con il suo ‘Juke box’, diffondeva note sonore con dedica, il rumore dei birilli spazzati all’aria rimbombava tra le pareti del Bowling quasi adiacente l’emittente, mentre al Cinema Maior di Corso Giulio Cesare, si proiettavano le immagini di film a luci rosse, cult per anziani pensionati nullafacenti. Il vero spettacolo lo si contemplava però a cielo aperto. 

Alzando il naso all’insù e osservando il plumbeo cielo. Lo sguardo incrociava i tanti balconi di Via Calvi, via Mercadante e le tante altre strade, fino all’imbocco di corso Taranto. 

Uno spettacolo multiforme di colori: bianco, nero, granata, tricolore. Era la policromia dei bandieroni appesi, a testimonianza della Fede calcistica, di chi lì risiedeva. 

Un’imbandierare che era una costante alla vigilia del Derby, dopo ogni grandiosa vittoria e anche dopo un’amara sconfitta, perché allo sfottò del vicinato era doveroso (ri)affermare la propria indefessa Appartenenza. 

La bandiera stesa enfatizzava la vergogna. 

Bellissimi quei balconi, quelle vie affollate di drappi, piene di striscioni e di foto di giocatori appese come vessilli. 

Simbolo di una città che viveva l’evento, che palpitava, che lacrimava di passione. 

Nella settimana prima della stracittadina, per avvalorare ancora di più il rito, cambiavi giornalaio, evitavi il tabaccaio, rifiutavi di prendere il caffè nel solito bar. 

Per eludere ogni contatto con quello che, seppure ci ridevi e scherzavi tutto l’anno, in quel preciso momento diventava ‘il Nemico’. 

Di lui non sopportavi il suo sorrisino sarcastico, il suo dire dispiaciuto sul giocatore avversario infortunato, il suo osteggiare quel torello di stoffa impolverato, spuntato chissà dove, dalla naftalina, divorato dalle cimici.

Nessuna collaborazione con l’altro, con il ‘diverso’, di fede e colore calcistico. 

Nessuna resa, sebbene anche solo verbale. 

Per evitare dissidi, per fugare dissapori, ognuno con la propria gente. 

Gente e buoi dei paesi tuoi, e per noi ‘Gobbi’, la ‘Juve era Magica e quelli della Filadelfia i suoi Profeti’. 

Gli altri i miscredenti. Con i colori sbagliati sul balcone. 

Beppe Franzo

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