“Non è l'Erasmus che ci aspettavamo, ma cosa possiamo farci? Di certo non ci lamentiamo, non sarebbe giusto: questa è un'emergenza mondiale”. Sharon Olivadoti, 23 anni, originaria della Calabria, e Caterina di Castri, 21 anni, di Biella, studiano Comunicazione Interculturale all'Università di Torino, ma dallo scorso 5 settembre vivono a Granada, in Spagna, per frequentare il loro anno accademico in Erasmus.
L’ultima volta che sono state in Italia era per le vacanze natalizie, nessuno avrebbe mai pensato che il volo di ritorno già prenotato in anticipo per i mesi primaverili sarebbe stato cancellato. “Abbiamo capito – spiegano – che il modo migliore per restare vicine alle nostre famiglie è stare lontane”.
Ad oggi, il premier spagnolo Pedro Sanchez Pérez ha annunciato che è arrivato il momento della responsabilità e della disciplina sociale. Sono stati presi provvedimenti per limitare le uscite, se non per motivi strettamente necessari. Le Università sono state chiuse da lunedì, ma solo la scorsa settimana a Madrid i cittadini affollavano le piazze per la manifestazione dell'8 marzo. “Sapevamo che la Spagna avrebbe corso gli stessi rischi dell’Italia. Il turismo è molto diffuso e, soprattutto a Granada, c’è un gran numero di studenti stranieri. Bisognava iniziare ad agire”.
Come si sta in Erasmus al tempo del Coronavirus?
“Ovviamente non ci aspettavamo tutto questo. Tutto è iniziato nella completa normalità e fino a un mese fa stavamo ammirando la trasformazione stagionale di un territorio stupendo come l’Andalusia. Feste di paese, escursioni, gite in spiaggia. Ci aspettava tutto questo. Questa emergenza ha cambiato le nostre aspettative, ma cosa possiamo farci? I miei coinquilini sono arrivati da poco a Granada, altri nostri compagni provenienti dalle Università statunitensi sono dovuti rientrare. È una situazione mondiale, non possiamo lamentarci ed è ingiusto farlo.
Che clima si respira in Spagna?
“La Spagna non è cambiata, la situazione ha continuato a essere normale. Noi abbiamo fatto un viaggio a Madrid circa due settimane fa e solo poche persone indossavano la mascherina. La vita continuava normalmente. La situazione sta avendo dei cambiamenti negli ultimi giorni. La stampa ufficiale è stata meno impattante rispetto all'Italia, dove, fin dai primi casi, l’allarme è stato lanciato. Possiamo dire che in Spagna si sono attesi dati più consistenti per dichiarare la situazione d’allarme. La sanità è molto efficiente e gli studenti stranieri sono coperti dal progetto Erasmus".
"Chi ha sintomi di influenza non deve assolutamente recarsi al pronto soccorso, ma ai Centri di Salute, dove normalmente ci si reca per problematiche minori. Se pur con sintomi si risulta negativi al test, ma si ha una normale influenza, consigliano di stare a casa. Ma in realtà in tutti i casi il consiglio è di restarci a prescindere”.
Il consiglio è per tutti di non uscire, ma non è passato alcun decreto come in Italia. Alcune attività sono state chiuse, ma ora c’è il dibattito sui parrucchieri che non prevedono la chiusura. I supermercati sono stati presi d’assalto appena si è diffusa la notizia che la Giunta dell’Andalusia si sarebbe riunita il giorno dopo, giovedì. Scaffali della frutta e della verdura completamente vuoti, prodotti per pulire e disinfettare, carta igienica sono andati a ruba.
Nonostante questi atteggiamenti, l’opinione pubblica è spaccata. “Molti dei nostri amici pensano che sia un’esagerazione. Questo fa male, fa male essere preoccupati per il proprio Paese e vedere che all’estero l’emergenza viene sottovalutata”.
“È una lotta. Guardiamo costantemente dati relativi al numero di vittime, di contagiati, guariti. In Italia stanno crescendo ad un livello allucinante e in Spagna la cosa sta raggiungendo numeri simili. All’inizio credevo che restare in Spagna fosse più sicuro, ma adesso ci domandiamo: e se questa situazione peggiora ancora? E se succedesse qualcosa alle nostre famiglie e non potremmo esserci, come facciamo?”.
Cosa provate a essere lontane dall'Italia in questo momento?
"Essere lontane dall’Italia in questo momento è difficile perché le nostre famiglie sono preoccupate. Loro stessi non sanno se dirci di tornare o meno, ma tornare vuol dire mettere a rischio i nostri cari e volere bene alla famiglia vuol dire stare lontani. Stiamo notando, però, un lato molto umano dell’Italia grazie alle manifestazioni pacifiche e solidali, come il concerto delle 18 dai balconi. È bello vedere che l’Italia possa essere portatrice di cose positive e siamo fiere del nostro paese perché sta dando dimostrazione di avere tanta forza. Essendo il primo paese colpito e non avendo alcun esempio da seguire, sta riuscendo da solo a cavarsela con la solidarietà di tutti".
Quali sono le misure adottate dalla Spagna per arginare la diffusione del covid-19?
"I primi casi si sono verificati a Madrid e nei Paesi Baschi. A Granada la situazione era ancora stabile, ma a partire dall’8 marzo c’è stato un incremento di contagiati. Quando le Università hanno deciso di chiudere, venerdì 13, si è verificata la stessa situazione iniziale dell’Italia: supermercati svuotati e amuchine sold-out. Lunedì chiuderanno bar e ristoranti".
Ci sono restrizioni particolari che avete deciso di adottare personalmente?
"Informiamo gli amici e i professori sulla situazione italiana per provare a far capire che la Spagna ha e ha avuto la possibilità di giocare in anticipo per prevenire l’intaso dei sistemi sanitari come in Italia. Di sensibilizzare sul tema perché qui si continua a dire che si tratta di una bomba mediatica per creare panico e che i giovani non sono colpiti, ma il rischio sono soprattutto gli studenti che abitano nell’Andalusia e il fine settimana tornano a casa dove ci sono i genitori e i nonni, soggetti più a rischio. Stiamo portando la testimonianza italiana dei nostri amici e genitori. Sono state create due campagne per raccogliere le firme e chiedere la chiusura anticipata delle università".
Come vi comportate negli spazi comunitari?
“Io, Sharon, vivo in casa con due ragazzi messicani e una ragazza olandese. Abbiamo preso la decisione di rimanere a Granada e di seguire le lezioni per via telematica. Ci diamo supporto nel restare qui insieme. In casa abbiamo comprato tutto ciò che serviva per disinfettare e, seguendo l’esempio italiano, li ho avvisati di non correre nei supermercati per accaparrarsi il cibo, creando così situazioni di assembramento che è meglio evitare. Seguiamo le linee guida standard: ci laviamo spesso mani, puliamo le superfici, facciamo attenzione a pulire gli smartphone. Tra di noi rimaniamo ottimisti. Io sono stata la prima ad avere dei crolli emotivi seguendo le dinamiche italiane, nonostante all’inizio io stessa credevo fosse un’esagerazione. Collaboriamo, mangiamo insieme, passiamo il tempo insieme. Per fortuna mi è arrivato il pacco da giù con le carte napoletane. Gli sto insegnando a giocare a carte! Di positivo c’è che condividiamo più tempo insieme e ci stiamo conoscendo meglio. Ci facciamo forza l’uno con l’altro e la cosa bella è che i miei consigli arrivano anche in Olanda e in Messico”.
Come si stanno comportando l’Università di Torino e l’Università ospitante con gli studenti Erasmus?
“L’università di Torino ci ha mandato delle mail per informarci che se volessimo tornare possiamo farlo, visto che la motivazione sarebbe legata al domicilio, ma questo deve avvenire autonomamente. Noi non ce la sentiamo di tornare perché, a causa della chiusura di alcuni aeroporti, gli spostamenti in diverse città potrebbero aumentare il rischio di contagio e questo è un rischio da non correre per le nostre famiglie. L’Università di Granada (UGR) è rimasta aperta fino a venerdì 13 e da lunedì sarà ufficialmente chiusa. C’è stato un incontro tra studenti e professori e, in quel contesto, ci siamo rese conto che non si aveva un’idea di quanto grave fosse realmente la situazione. L’UGR tratta tutti gli studenti allo stesso modo e ci hanno proposto di restare poiché saranno avviate lezioni telematiche e alcune delle presentazioni previste saranno effettuate tramite la realizzazione di un video. L’Università ospitante è molto organizzata con le piattaforme digitali, visto che molto spesso le abbiamo utilizzate per la consegna di verifiche della preparazione settimanali”.
È cambiata la percezione di voi come italiane quando venite a contatto con persone spagnole?
"All'inizio, scherzando, abbiamo pensato che avremmo notato diffidenza e paura nei nostri confronti, ma le persone che sanno che non torniamo in Italia da gennaio ci trattano con normalità. Non abbiamo subito discriminazione o comportamenti strani per il fatto di essere italiane".