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Cultura e spettacoli | 27 novembre 2022, 10:48

Una spedizione archeologica Unito in Iraq alla scoperta dei tesori di Seleucia [FOTO E INTERVISTA]

A cura del progetto di ricerca CRAST. Il team resterà a lavorare negli scavi per un mese. I direttori: "Un paese e un popolo straordinario. Speriamo tutti che gli anni bui siano definitivamente alle spalle"

Una spedizione archeologica Unito in Iraq alla scoperta dei tesori di Seleucia [FOTO E INTERVISTA]

L'archeologia torinese al lavoro in Iraq. Da qualche settimana è infatti operativa la Spedizione Archeologica Italiana del CRAST di UniTo a Seleucia.

"Un progetto di ricerca archeologica interdisciplinare che, con il supporto anche del MAECI, intende individuare gli edifici monumentai della città" come spiegano i direttori della missione Vito Messina e Carlo Lippolis.

Una missione composta da specialisti di UniTo e PoliTo, da dottorandi e studenti UniTo della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici “Giorgio Gullini” che resterà sul posto per un mese, ma con la prospettiva in futuro di missioni più lunghe, di almeno due mesi. 

Perché proprio Seleucia? Qual è la sua storia? 

"Seleucia è stata la capitale dell’Oriente ellenistico, tra la fine del IV sec. a.C. è il II sec. d.C. È una cosmopoli come Alessandria e Roma, ma a differenza di queste non ha sovrapposizioni di città moderne. Si estende per oltre 600 ettari, come una capitale europea della fine del ‘700". 

Ma quali tesori sepolti si trovano sotto la sua superficie? 

"Le architetture, i materiali, la cultura della città, in parte note da scavi pregressi, testimoniano dell’incontro fra Oriente e Occidente. Si tratta per Torino di uno scavo di grande tradizione, iniziato nel 1963 e interrotto dalla guerra del Golfo. L’unica altra missione archeologica, condotta dall’Università del Michigan, data agli anni ‘30 del secolo scorso, Siamo orgogliosi di aver ripreso grazie al CRAST e UniTo una tradizione così importante per Torino dopo un’interruzione di circa 30 anni".

Parlando dell'Iraq, com’è la situazione generale nel Paese?

"L’Iraq è un paese dalle risorse umane straordinarie. Nonostante la nota e travagliata storia degli ultimi decenni, il popolo iracheno trova sempre la forza di guardare al futuro e reagire con grande capacità di resilienza. Speriamo tutti che gli anni bui siano definitivamente alle spalle."

Molti siti archeologici iracheni avevano subito danni dall’Is, tutti ricordiamo le terribili immagini dei bulldozer a Ninive ad esempio, ma anche Hatra e Nimrud. Oggi qual è la situazione attuale e cosa si può fare per conservare al meglio quel che rimane?

"Quelle immagini hanno segnato tutti noi. Il patrimonio iracheno è un patrimonio che appartiene a tutta l’umanità perché ci restituisce una storia della quale facciamo parte nel lungo cammino della civiltà, una storia nella quale ognuno di noi può rispecchiarsi".

L'Italia e il CRAST in particolare hanno cercato quanto più potevano di proteggere questo patrimonio di tutti nel corso degli anni. 

"Molto è stato fatto. Durante e subito dopo la seconda guerra del golfo il CRAST ha collaborato con i Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale alla compilazione di un database degli oggetti trafugati da musei e siti iracheni ed ha contribuito al recupero di centinaia di reperti che stavano lasciando illegalmente il Paese.

Il CRAST negli ultimi 15 anni ha coordinato l’allestimento di 4 grandi sale all’interno del museo archeologico di Baghdad, uno dei più grandi ed importanti al mondo. Sono poi stati organizzati corsi di formazione ed è stata curata una comunicazione divulgativa delle ricerche e dei temi legati al patrimonio, per sensibilizzare anche i più giovani. Per i più piccoli si sono ad esempio prodotti fumetti che raccontano storie legate al patrimonio iracheno e alla sua importanza non solo per l’Iraq stesso, ma per l’intera umanità. Oggi, quello dell’archeologo è anche un ruolo sociale e non solo scientifico". 

Cosa resta ancora da fare? 

"La migliore strategia di protezione in questi casi è quella che conduce al coinvolgimento delle comunità locali nella consapevolezza di dover proteggere un patrimonio che non è solo identitario". 

Chiara Gallo

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