Calcio - 25 novembre 2016, 09:31

Da Torino a Manchester: 1600 chilometri di passione per il Manchester City

Abbiamo incontrato Renato Tubere, torinese che è presidente e fondatore dell'Italian Blue Moon, il branch italiano di tifosi del Manchester City; il racconto della sua passione e del legame che unisce i biancocelesti di Manchester al Torino

Renato Tubere a sinistra insieme a un compagno dell'Italian Blue Moon

TorinoJuventus, niente Pulici o Bettega, Meroni o Platini, nemmeno Belotti o Buffon. Sotto la Mole ci sono appassionati di calcio che non hanno il cuore granata o bianconero, ma bianco e celeste del Manchester City. Un amore a distanza, fatto di sacrifici economici, lavorativi e familiari, il tutto per dei fugaci “incontri”, brevi e appassionati. 1577 chilometri di passione, per chi ha i Citizens nel cuore, come Renato Tubere, presidente e fondatore dell’Italian Blue Moon (la canzone di Elvis, Blue Moon, viene utilizzata come inno dal Manchester City), che è il branch ufficiale italiano del Manchester City. L’abbiamo intervistato per farci raccontare la sua passione per i Citizens e scoprire il forte legame presente da anni tra il Manchester City e Torino.  

Ciao Renato, come nasce questo legame tra il Manchester City e Torino?
«Risale all’inizio degli anni novanta. Una testimonianza di questo l’abbiamo nelle immagini della finale di ritorno della Coppa Uefa 1991/92, quando ad Amsterdam il Torino affrontò l’Ajax. Dietro a Mondonico che alza la sedia si può notare un gruppetto di tifosi del Manchester City, giunti lì a tifare Torino. Questo perché in un’ottica anti Manchester United, i tifosi del City decisero di fare una serie di gemellaggi europei con altre squadre che si trovavano a vivere nella loro stessa situazione, quella di giocare un derby contro una formazione molto più pubblicizzata e vincente. Ecco quindi che dopo i gemellaggi con Monaco 1860 e Atlético Madrid, arrivò anche quello col Toro. Nella curva granata apparve anche lo striscione del “Toro Club England” con logo del Man City».  

Quindi i tifosi del Manchester City venivano all’allora Comunale?
«Si, erano spesso presenti in Maratona a sostenere il Toro. Anche Domenico Beccaria, attuale Presidente del Museo del Grande Torino e della Leggenda Granata, era uno di questi tifosi granata gemellati con il City. Anche da Torino in molti salivano a Manchester, venivano ospitati da gente del posto e viceversa. In quegli anni il nostro Man City non se la passava benissimo, era in categorie inferiori, ma i tifosi granata salirono ugualmente in campi come quelli di York o Plymouth per manifestare la propria amicizia. Io ho raccolto questa tradizione di tifo».  

L’arrivo di Hart come si pone in questa tradizione di amicizia?
«L’ha rinsaldata. Non appena è arrivata l’ufficialità del passaggio di Hart al Torino, sono stato contattato dai tifosi inglesi del Man City, che mi hanno chiesto di mettermi in contatto con la Maratona, per consegnargli lo striscione dedicato ad Hart che in questi anni era fisso nella curva del Man City. Quando sono salito per vedermi l’esordio stagionale in Champions contro il Borussia Monchengladbach mi sono fatto consegnare lo striscione e l’ho dato alla Maratona. È apparso per la prima volta in occasione del match contro la Roma e ad Hart è piaciuta moltissimo questa cosa, tanto che ha ringraziato tutti».  

La tua passione per il Manchester City è quindi legata a questo gemellaggio tra Citizens e Torino?
«No, perché non sono un tifoso del Toro, ma un semplice simpatizzante. In realtà in Italia ho sempre tifato Milan, anche se dopo Calciopoli, nella delusione di vedere i rossoneri coinvolti in questo scandalo, questa passione è venuta meno e mi sono quindi legato ancor di più al calcio inglese».  

Com’è nata allora?
«Nel 1978 andai a San Siro per vedere un match di Coppa Uefa tra il Milan e il Manchester City. Non so come mai, ma finii in mezzo al settore dei Citizens e me ne innamorai. Parlavo bene l’inglese e mi presero in simpatia, mi regalarono le loro sciarpe e diventammo amici. Ho quindi sempre seguito i risultati del City anche nei momenti più complicati, un po’ anche perché mi piacevano gli Oasis. Negli ultimi anni è rinata la passione, circa attorno al 2005. Proprio in quel periodo il Man City aveva lasciato il suo storico stadio Maine Road per trasferirsi al City of Manchester, oggi Etihad Stadium. Ho visto quindi il breve periodo con la presidenza di Shinawatra, il rischio di fallimento e la salvezza con Abu Dhabi, che ci ha portato a essere una delle società più grandi d’Europa».  

Sei mai andato a Maine Road?
«No e questa cosa mi fa molto male. Perché quando è nata l’Italian Blue Moon, si sono uniti a noi molti tifosi, che hanno visto giocare i Citizens in quello stadio e i loro racconti mi hanno fatto capire di essermi perso qualcosa di fantastico, perché lo stadio era più piccolo e vicino al campo. I nostri tifosi poi sono caldi, molto di più rispetto a quelli dei Red Devils, anche perché il vero cittadino di Manchester tifa City, mentre i tifosi dei Red Devils vengono da fuori, da altre città o dall’estero, anche l’Old Trafford non è dentro Manchester».

Com’è nata l’Italian Blue Moon?
«Ne parlavamo da tempo e nel 2007 abbiamo fondato questo “club” per unire insieme tutti gli appassionati italiani del Manchester City. Abbiamo chiesto l’iscrizione all’assocazione dei branch dei Citizens e l’abbiamo ottenuta. In Italia ci sono tanti tifosi del City, chi di vecchia data, qualcuno magari per gli Oasis, altri per Mancini».  

Sali spesso a Manchester?
«Si, almeno cinque o sei volte l’anno tra campionato e Champions. Andrò anche a dicembre per i match contro Watford e Arsenal».  

Qual è la follia più grande che hai fatto per i Citizens?
«Ne racconto una simpatica. Nel 2012, l’anno in cui vincemmo poi il titolo, ero all’Etihad per Manchester City-Tottenham. A pochissimi minuti dal termine eravamo sul 2-2 e dissi ai miei vicini di posto, che erano irlandesi, che se avessimo vinto sarei andato a piedi fino al centro della città. Ci venne assegnato un rigore proprio nel recuperò e Balotelli ci regalò la vittoria dal dischetto. I miei vicini di posto, ovviamente pretesero che pagassi la scommessa, così andai con questi irlandesi dallo stadio fino al centro della città, non proprio dietro l’angolo. Il problema è che loro mi costrinsero anche a cantare degli inni irlandesi insieme a loro, mentre camminavamo».  

Quell’anno avete poi vinto il titolo in un modo rocambolesco, segnando due reti nei minuti di recupero all’ultima giornata. Come hai vissuto quel giorno?
«Ero con gli altri tifosi del branch, in molti venuti anche da altre città, in un locale di Piazza Vittorio. Ricordo che passò anche Paolo Aghemo di Sky, simpatizzante del Manchester City. Quel giorno c’erano anche dei tifosi dello United che vedevano la loro partite».  

Ci furono problemi con i tifosi dei Red Devils?
«No, anzi io andai anche a consolarne qualcuno. Insomma festeggiamo il titolo e basta, senza alzare troppo i toni. Ma è questo il bello del calcio inglese. Ti faccio un esempio. Molti di noi erano ad Anfield nell’aprile del 2014, quando ci giocavamo il titolo contro il Liverpool. Perdemmo 3-2 in un match con molti episodi, eppure non accadde nulla, i tifosi delle due squadre si facevano foto insieme, bevevano birra nei pub uno al fianco dell’altro. In tanti anni che siamo saliti non abbiamo mai litigato con alcun inglese».

 

Il gruppo a Londra, dopo la vittoria del Manchester City in finale contro il Liverpool nella Coppa di Lega dello scorso anno

Ancora una foto di gruppo

Calcio inglese e pub, due cose inseparabili

Tubere con Rosler, ex bandiera del Manchester City

La squadra di calcio dell'Italian Blue Moon, che sfida i branch italiani legati ad altre squadre

Giorgio Capodaglio