Cultura e spettacoli - 29 gennaio 2017, 07:30

Dentro la Corea del Nord con la musica dei Laibach

Il film “Liberation Day”, che ha aperto la terza edizione di Seeyousound, è uno sguardo unico oltre il muro ideologico della Corea del Nord. Una pellicola preziosa

 

Comincia tutto con una crepa in un muro. Il muro, però, non è fatto di mattoni, ma di filo spinato, ideologia e tanta, tanta censura. Il muro si chiama Corea del Nord e divide due mondi. La crepa, però, esiste e si chiama musica.

Può sembrare assurdo, ma la storia del primo concerto rock organizzato in Corea del Nord (un anno e mezzo fa) è iniziata così. Ad aver calcato il palco di un imporante teatro di Pyongyang è stata la band slovena dei Laibach. Gruppo rock-industrial nato nel 1980 nell’ex Jugoslavia e noto, oltre per la propria musica, per l’estetica nazifascista utilizzata in video e concerti, che spesso ha portato i suoi componenti a confrontarsi con accuse di nazismo.

Tra le accuse che i Laibach si portano dietro ancora oggi c’è anche quella di aver contribuito alla disgregazione dell’ex Jugoslavia (evento citato nel film) al quale Ivan Novak, storico membro della band, risponde sempre dicendo che “se un paese è crollato per causa nostra, forse non meritava di esistere”.

Morten Traavik, regista norvegese che si è formato in Russia e in Svezia, è un fan di vecchia data dei Laibach e ha diretto diversi loro videoclip. Insieme al regista e montatore lettone Ugis Olte ha girato “Liberation Day”, documentario che racconta il dietro le quinte dei pochi giorni trascorsi dalla band e da tutto lo staff in Corea del Nord.

L’opera è preziosa non tanto per l’evento in sé, che resta storico, quanto per le immagini che portano allo spettatore un briciolo della quotidianità coreana, stretta tra celebrazione patriottica, ossequio costante al leader e ricerca della tranquillità. Ricordando, naturalmente, che tutto ciò è avvenuto sotto lo stretto controllo del governo.

Ma è la ricerca della tranquillità a segnare lo sviluppo dei rapporti tra i Laibach e il comitato di censura coreano, che interferisce con qualunque attività del gruppo con l’obiettivo di “non offendere” i simboli coreani e, più di ogni altra cosa, non turbare il pubblico.

Il confronto tra culture è talvolta grottesco. Ivan Novak mostra, a un certo punto del film, come è alimentata l’apparecchiatura nel teatro coreano: strumenti, amplificatori, altoparlanti, luci, tutto collegato a un unico cavo, a sua volta collegato a un cavo più piccolo, che prende energia da una normalissima presa “casalinga” nel muro di una stanzetta.

Nonostante tutto questo, il concerto si fa, tra tagli alla programmazione e cambiamenti dell’ultimo minuto, imposti dai coreani, che spesso fanno saltare i nervi ad alcuni membri della band o dello staff.

Lo sguardo proposto resta unico, perché consente di vedere il paese dall’interno, le ossessioni dei coreani, le loro debolezze e la loro inaspettata umanità, nelle cui pieghe affonda le radici il regime. Il film ha il merito di condividere con lo spettatore il faticoso sforzo compiuto da band e censori per fare rientrare un concerto dei Laibach negli stretti canoni della censura coreana.

“I veri eroi di questo film – ha spiegato il regista, Morten Traavik – sono i nostri censori, Mr.Ryu e Mr.Ri, che hanno reso possibile tutto questo. Sono tornato in Corea del Nord lo scorso ottobre, per far vedere il film a loro due. Non so se sia piaciuto, non siamo mai riusciti ad avere una risposta netta su qualunque argomento. Credo, però, che la Corea del Nord stia ancora cercando di digerire i Laibach”.

“La fiducia e il rispetto reciproco – ha aggiunto Ivan Novak – sono la base per costruire ogni relazione con un nordcoreano”. Novak, poi, ha commentato un altro episodio del film, quando, infrangendo ogni norma, si è allontanato da solo per fare una passeggiata. “L’ho fatta di proposito per il film – ha spiegato, senza però avere, ancora, il perdono di Traavik – e quell’ora di camminata è stata bellissima. Ho comunicato con le persone attraverso gli sguardi e qualche parola. Mi sembrava di volare o di essere sotto l’effetto di droghe”.

Ma l’evento più grottesco accade una volta tornati in Occidente. Il film avrebbe dovuto contenere un’altra intervista, presumibilmente con un membro della band berlinese Rammstein (idea che correva tra gli spettatori del Cinema Massimo). Dopo la sua realizzazione, però, l’intervistato non ha gradito la posizione artistica presa dal film (non si sa se sulla Corea del Nord o sulla musica) e ha chiesto la rimozione del suo contributo dal film. Al rifiuto dei registi, l’interessato ha schierato i suoi avvocati, che evidentemente sono riusciti nel loro intento. Il messaggio, però, è passato lo stesso.

 

Paolo Morelli