Cultura e spettacoli - 04 febbraio 2017, 17:00

“Yallah! Underground”, la Primavera araba vista dall'altra parte

Il film di Farid Eslam, “Yallah! Underground”, proiettato a Seeyousound, consegna al grande schermo la vita dei giovani di alcuni paesi islamici, in lotta contro il regime e i pregiudizi

 

La musica è uno strumento di ribellione. “Yallah! Underground”, diretto da Farid Eslam, tedesco di origine afghana, è stato proiettato al festival Seeyousound, in anteprima italiana. L’opera è un documento interessante sulla rivoluzione che ha toccato i paesi mediorientali, in misura diversa, durante la Primavera araba.

Il documentario si concentra lungo la sponda sud-orientale del Mar Mediterraneo, attraverso il Libano e l’Egitto, ma anche in Palestina, Israele e Giordania. Per anni, in questi paesi, i giovani musicisti che compaiono nel film, e tanti altri come loro, hanno dovuto nascondersi per sfuggire al regime. La Primavera araba era l’occasione per uscire dal buio e dal silenzio.

“Ho vissuto a Beirut per un po’ – ha spiegato il regista – e lì ho incontrato molte persone che abitavano a Ramallah o a Dubai. Ho capito, stando con loro, quanti preconcetti avessi io stesso sul mondo arabo. Sono stato molto colpito dalla ricchezza della scena culturale dei paesi arabi. Quello che viene trasmesso in Occidente, invece, è solo il fanatismo religioso, che però è soltanto un briciolo della realtà di questi luoghi”. E il suo film, infatti, compie questa operazione, tutt’altro che semplice, a ben vedere.

Per rintracciare diversi musicisti, infatti, il regista ha dovuto spostarsi in diverse parti del mondo, dove alcuni di loro si sono rifugiati o si esibiscono.

Ad esempio il musicista e produttore libanese Zeid Hamdan, che si esibisce soprattutto all’estero dopo essere stato arrestato, nel 2011, per avere “offeso” il presidente libanese Michel Suleiman. Una delle sue canzoni più note, “General Suleiman”, si conclude con le parole “Go home!” (“Vai a casa!”), rivolte a Suleiman. Tanto è bastato per far scattare le manette. L’artista è stato liberato poche ore dopo il suo arresto, anche grazie a una mobilitazione dei suoi fan lanciata su Facebook. Ancora adesso, tuttavia, quando canta quella canzone subisce qualche insulto.

“Yallah! Underground”, oltre a raccontare questi episodi, offre un’immagine della Primavera araba vista “dall’altra parte”, attraverso i sogni, le ambizioni e le difficoltà dei musicisti di questi paesi. Perché i giovani vivono una vita, tutto sommato, simile a quella dei loro coetanei occidentali. E mentre, da spettatori, ci rendiamo conto di questo, capiamo anche che, nonostante ci possiamo ritenere mentalmente aperti, permangono in noi quegli odiosi pregiudizi.

Ci sono giovani che non mettono la religione al centro della propria vita, amano la cultura e pensano a fare musica. La cosa più sconvolgente – si fa per dire – è che questi giovani non sono affatto una minoranza. C’è un vivo tessuto culturale che sopravvive alla politica.

Poi ci sono i sogni spezzati della Primavera araba, dei tanti giovani, musicisti e non, che hanno dovuto abbandonare i propri paesi dopo il 2011, oppure che hanno dovuto rinunciare alle proprie aspirazioni per evitare problemi. Perché la rivoluzione non è stata completata ed è soffocata sotto l’ascesa dell’estremismo.

“Yallah! Underground” lascia le storie sospese in un limbo, senza approfondirle troppo ma lasciandole alla curiosità dello spettatore. Ma forse è giusto così. Resta la musica. Quella, insieme ai sogni e alle idee, non può essere cancellata da nessun regime, per questo è temuta.

 

Paolo Morelli