Più di cento aziende che operano in Torino e prima cintura hanno sottoscritto una lettera per sollevare il problema dei richiedenti asilo che inseriti in tirocini o in rapporti di lavoro veri e propri si vedono consegnare il diniego del permesso di soggiorno. Condivido pienamente e sostengo con forza questa loro iniziativa coordinata con la rete torinese Senza Asilo.
Si tratta di un vero e proprio baco nel sistema di accoglienza del nostro paese. I tempi della procedura di domanda di asilo sono spesso molto lunghi e con i ricorsi a volte si arriva anche a due anni di attesa o più. In questo periodo di tempo i richiedenti asilo imparano la nostra lingua, seguono corsi di formazione e vengono inseriti in tirocini lavorativi ma questi percorsi virtuosi vengono irrimediabilmente interrotti quando viene consegnato loro il rifiuto definitivo al rilascio del permesso di soggiorno e il provvedimento di espulsione.
Sul tema dei diniegati, al tavolo di coordinamento nazionale sui flussi migratori non programmati, come Regione Piemonte abbiamo ribadito più volte come sia fondamentale abbattere i tempi delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, rafforzando la loro struttura. Abbiamo inoltre proposto, e spero proprio che prima o poi si vada definitivamente in questa direzione, che il percorso del richiedente asilo nel nostro Paese, vale a dire l’impegno nella formazione civico-linguistica, nel volontariato civico e nei tirocini lavorativi o il possesso di un contratto di lavoro siano valutati al fine della concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, o del titolo di soggiorno che si riterrà più opportuno.
Nel continuare a gettare all’aria questi percorsi il danno è triplice: per le risorse finanziarie pubbliche investite invano, per l’azienda che ha impegnato tempo nella formazione di queste persone e naturalmente per i richiedenti asilo stessi che vedono franare i loro sogni di una vita più dignitosa e vanificarsi gli sforzi fatti durante il periodo di attesa.