Attualità - 12 aprile 2017, 15:47

All’ospedale San Giovanni Bosco di Torino “Filosofia e Medicina in dialogo”

Ieri il primo di una serie di incontri dedicati alla riscoperta del rapporto che sussiste tra le due discipline in un dialogo tra specialisti

Ha avuto luogo ieri, all’ospedale San Giovanni Bosco di Torino, il primo di tre incontri indirizzati alla rivalutazione del “dialogo” che caratterizza due ambiti, solo in apparenza distinti e distanti: la filosofia e la medicina.

Un percorso filosofico che approfondisce e riprende alcuni dei concetti fondamentali nell’idea di una cura sempre più olistica, che ha lo scopo di fornire ai sanitari gli strumenti utili per avviare uno sguardo più profondo e acuto sul proprio essere curanti e sulla persona che necessita di essere seguita.

Relatori del primo appuntamento: Giuseppe Naretto, Anestesista rianimatore, e Chiara Calliera, Dottoressa in Filosofia e Bioeticista; a dirigerlo, il dottore Sergio Livigni, Primario del reparto di Terapia intensiva, e Marco Vergano, Anestesista rianimatore. Primo argomento della discussione, la distinzione tra “cure” e “care”, “curare” e “prendersi cura”, e la questione dell’appropriatezza delle cure stesse: Naretto, infatti, ha spiegato che “le cure devono essere rispettose delle preferenze, dei bisogni e dei valori individuali del paziente, e rispondere, inoltre, a otto criteri: il rispetto, appunto, delle preferenze; la coordinazione e l’integrazione tra gli specialisti; l’informazione, il più possibile adeguata, fornita al paziente; il comfort fisico; il supporto emotivo; il coinvolgimento della famiglia e degli amici; la continuità e l’accesso a esse”.

Appropriatezza, ossia scelta della cura adatta alla situazione in cui versa il paziente, e risorse sono, poi, strettamente legate, dal momento che i dirigenti ospedalieri hanno assunto, in un’ottica che rende l’ospedale un’azienda, il potere di gestione delle risorse finanziarie, umane e strumentali, risorse che sono, però, sempre più limitate, e i cui “nemici sono l’incertezza prognostica, poiché nessuna previsione è sicura al 100%, la questione del patto di cura, per cui il medico, nel suo rapporto con il paziente, è vincolato a una visione antropocentrica”, centrata sul rispetto dell’autonomia decisionale.

A livello filosofico, invece, si è discusso dell’importanza di un’etica della cura, attraverso un percorso storico-letterario che ha individuato i presupposti e le radici concettuali della pratica contemporanea (dal Faust di Goethe al testo Essere e tempo di Heidegger), concentrando l’attenzione sulla rilevanza dell’empatia intesa come un “rendersi conto” dell’altro, che deve essere considerato nella sua totalità: la cura, infatti, deve valutare la complessità della malattia senza perdere di vista la soggettività del paziente e il rapporto di quest’ultimo con lo spazio, il tempo e il proprio corpo. Il medico, dunque, deve sviluppare una relazione che deve rispettare e tutelare le necessità, prendendo in considerazione anche la sofferenza e la storia del malato. 

I prossimi incontri si terranno sempre nell’aula Ravetti, il 9 maggio e il 6 giugno.

Roberta Scalise