Ha avuto luogo ieri, all’ospedale San Giovanni Bosco di Torino, il primo di tre incontri indirizzati alla rivalutazione del “dialogo” che caratterizza due ambiti, solo in apparenza distinti e distanti: la filosofia e la medicina.
Un percorso filosofico che approfondisce e riprende alcuni dei concetti fondamentali nell’idea di una cura sempre più olistica, che ha lo scopo di fornire ai sanitari gli strumenti utili per avviare uno sguardo più profondo e acuto sul proprio essere curanti e sulla persona che necessita di essere seguita.
Relatori del primo appuntamento: Giuseppe Naretto, Anestesista rianimatore, e Chiara Calliera, Dottoressa in Filosofia e Bioeticista; a dirigerlo, il dottore Sergio Livigni, Primario del reparto di Terapia intensiva, e Marco Vergano, Anestesista rianimatore. Primo argomento della discussione, la distinzione tra “cure” e “care”, “curare” e “prendersi cura”, e la questione dell’appropriatezza delle cure stesse: Naretto, infatti, ha spiegato che “le cure devono essere rispettose delle preferenze, dei bisogni e dei valori individuali del paziente, e rispondere, inoltre, a otto criteri: il rispetto, appunto, delle preferenze; la coordinazione e l’integrazione tra gli specialisti; l’informazione, il più possibile adeguata, fornita al paziente; il comfort fisico; il supporto emotivo; il coinvolgimento della famiglia e degli amici; la continuità e l’accesso a esse”.
Appropriatezza, ossia scelta della cura adatta alla situazione in cui versa il paziente, e risorse sono, poi, strettamente legate, dal momento che i dirigenti ospedalieri hanno assunto, in un’ottica che rende l’ospedale un’azienda, il potere di gestione delle risorse finanziarie, umane e strumentali, risorse che sono, però, sempre più limitate, e i cui “nemici sono l’incertezza prognostica, poiché nessuna previsione è sicura al 100%, la questione del patto di cura, per cui il medico, nel suo rapporto con il paziente, è vincolato a una visione antropocentrica”, centrata sul rispetto dell’autonomia decisionale.
A livello filosofico, invece, si è discusso dell’importanza di un’etica della cura, attraverso un percorso storico-letterario che ha individuato i presupposti e le radici concettuali della pratica contemporanea (dal Faust di Goethe al testo Essere e tempo di Heidegger), concentrando l’attenzione sulla rilevanza dell’empatia intesa come un “rendersi conto” dell’altro, che deve essere considerato nella sua totalità: la cura, infatti, deve valutare la complessità della malattia senza perdere di vista la soggettività del paziente e il rapporto di quest’ultimo con lo spazio, il tempo e il proprio corpo. Il medico, dunque, deve sviluppare una relazione che deve rispettare e tutelare le necessità, prendendo in considerazione anche la sofferenza e la storia del malato.
I prossimi incontri si terranno sempre nell’aula Ravetti, il 9 maggio e il 6 giugno.