Eventi - 13 gennaio 2018, 17:00

“L’Africa e il Blues” riecheggiano al Circolo dei Lettori di Torino

Alla scoperta delle origini di uno dei generi più introspettivi e popolari del mondo musicale

“Quando di notte sei coricato a letto, e ti giri e ti rigiri da una parte all’altra, e non riesci a essere soddisfatto di qualsiasi cosa tu faccia, il Vecchio Blues ti ha preso”. Con queste parole Lead Belly, uno dei più importanti bluesman delle origini, tenta di dare una definizione di uno dei generi più introspettivi e popolari della scena musicale.

Il Blues, infatti, come è emerso ieri al Circolo dei lettori nel corso dell’incontro “L’Africa e il Blues”, a cura di EquiLibri d’Oriente, è uno stato d’animo che trova la sua espressione attraverso l’esecuzione musicale.

Nato tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, il Blues presenta una forte matrice africana, e la storia del suo sviluppo, per certi versi ancora oscura e priva di dati certi, coincide con quella del suo popolo natio: una storia intensa, costellata di sofferenza umana, schiavitù, segregazione ma anche di forza emotiva ed espressiva, speranza e voglia di affermazione sociale e personale.

La sua nascita si fa risalire, convenzionalmente, al 1903, nel Delta del Mississippi, e ha un volto: W.C. Handy, che, in una stazione della zona del medesimo Stato, ha suonato qualcosa di mai ascoltato prima, qualcosa che, poco dopo, verrà definito proprio “Blues”, utilizzando, sulle corde di una chitarra artigianale, la lama di un coltello al fine di ottenere l’effetto per cui oggi si utilizza lo Slide.

I suoi albori, però, sono molto più lontani. Durante la schiavitù, infatti, lo schiavo, di origine africana, è impiegato nei lavori di fatica all’interno delle piantagioni, ed è considerato, dal padrone, alla stregua di mera forza lavoro: per questo motivo, egli ha interesse a mantenerlo in piena efficienza fisica ed emotiva. Perciò, viene concesso agli schiavi di cantare durante il lavoro nei campi, nel tempo libero e nei giorni festivi, pur dovendo sottoporsi all’educazione e al controllo mediante l’insegnamento dei precetti della religione cristiana – per eliminare ogni desiderio di fuga e di libertà vengono, infatti, soppresse le tradizioni africane ed è vietato l’uso di alcuni strumenti musicali popolari.

Il padrone, dunque, incoraggia la partecipazione a vere e proprie funzioni religiose riservate agli schiavi, di domenica: è così che nascono i canti spiritual e le sorrow songs, che, successivamente, daranno vita al gospel, ossia la rielaborazione di inni sacri tradizionali africani tollerati dai bianchi perché di tema religioso.

Con l’emancipazione dalla schiavitù nel 1865, gli africani non sono più protetti dall’interesse del latifondista e divengono vittime di un feroce razzismo. Inoltre, dopo la Guerra Civile, le piantagioni sono suddivise in campi più piccoli, a causa dei quali i lavoratori riescono a malapena a sopravvivere. Questa l’origine delle worksongs, canti esclusivamente individuali, riprese anche dai carcerati impiegati nei grandi lavori pubblici, quali la costruzione di dighe, di ferrovie e i disboscamenti.

Con la privazione dei diritti civili, i canti divengono sempre più cupi, e vedono gli interpreti rivestire un ruolo di primo piano. Scaturiscono, infatti, i primi songsters, gli antesignani del bluesman, e i primi spettacoli musicali, svolti sotto i tendoni – tent shows –, fondamentali per lo sviluppo e la diffusione del Blues stesso, dove il livello degli artisti diverrà sempre più alto.

Con gli anni ’20 del ‘900 si assiste, poi, a una forte migrazione del popolo afroamericano verso le città del nord. La meta ideale è Chicago, la quale offre lavoro a molti braccianti e, anche, a musicisti: saranno qui, infatti, che nasceranno i primi club di musica Blues e alcuni tra i cantanti più famosi, quali Muddy Waters, Howlin’ Wolf, Bo Diddley e la leggendaria casa discografica Chess Records.

Le blue notes verranno, tuttavia, sostituite, piano piano, da rock & roll e altri generi musicali emergenti, ma continuerà a influenzare tutta la musica del XX secolo, e non solo, perché “quando si è malinconici ci si sente tristi e soli. Parlo del Blues, non di una cosa qualunque. Si sta in disparte, ci si siede e si piange con la testa tra le mani. Questo tipo di disperazione è ciò che fa nascere il Blues. Il Blues è solo questo, tutto il resto non è Blues” (Son House).

Roberta Scalise