Attualità - 19 marzo 2018, 11:25

Andrea Laszlo De Simone: "Amo la musica empirica, ma non ho mai comprato un disco. Progetti futuri? Prima di tutto fare il papà"

Il cantautore torinese si è esibito all'Hiroshima Mon Amour in occasione del contest "Sotto il cielo di Fred". È in corso il tour per promuovere il suo primo album "Uomo donna"

Lo guardi e, con quei baffi scuri e i capelli lunghi, è subito un tuffo nel decennio ‘60/’70. Lo ascolti e  le nuances psichedeliche della sua musica confermano la sensazione.

Andrea Laszlo De Simone, torinese, già batterista dei Nadàr Solo, è approdato nuovamente nella sua città natale dopo una prima parte del tour che sta toccando diverse tappe italiane. Dopo l’uscita del primo album, “Uomo donna”, lo scorso giugno, è iniziata la frenesia degli appuntamenti live, tra cui una visita al contest “Sotto il cielo di Fred” - che assegna il Premio Buscaglione alle band emergenti - ospitato in questi giorni all’Hiroshima Mon Amour.

Lo abbiamo intervistato poche ora prima del suo concerto lo scorso 14 marzo.

Andrea, come sta andando questo lungo tour e qual è la sensazione che provi a suonare di nuovo a Torino, in occasione di un evento così importante per le giovani band?

Suonare in casa è sempre più emozionante e tendo ad essere un po’ più allerta. Non mi sento di dover insegnare nulla ai ragazzi che si sfidano per il Premio Buscaglione, anzi. Io non ho mai provato a emergere davvero, sono sempre stato molto riservato. Fino a un anno e mezzo fa non immaginavo assolutamente di fare il percorso che sto facendo. Non ho mai pensato al successo e nemmeno ora. Ho un figlio di cinque anni e le priorità sono ben altre, la vita privata è molto più importante ed impegnativa di quella musicale. Queste band di ragazzi hanno sicuramente le idee molto più chiare me sul tipo di percorso che vogliono fare e questo è indubbiamente un ottimo concorso, adatto a chi è davvero intenzionato a fare musica.

Si può dire che, dopo la prima esperienza con il tuo gruppo, tu ti sia veramente formato “da te”...

Sicuramente ho collezionato le mie esperienze, ma se ora è uscito un disco non è solo per aver scritto e registrato delle canzoni....ma è grazie al fatto di avere incontrato delle persone che sono riuscite a farmi stare abbastanza tranquillo da permettermi di prendere in considerazione l’idea di fare dei concerti. Preferisco dire di essermi formato grazie alla band con cui ora suono in giro per l’Italia, tutti miei amici e compagni da molto tempo. Ringrazio anche The Goodness Factory e 42 Records....ma tutto è nato per gioco, anzi più che per gioco, per necessità privata. Per caso si sono aperte delle porte e piano piano ho pensato di stare a vedere che succede...diamoci del tempo per capire.

Sei un amante della tecnica “manuale”, ti piace produrre, fabbricare letteralmente la tua musica. All’inizio hai usato molto mezzi di fortuna per le prime sperimentazioni, nonostante ora tu sia circondato da numerosi musicisti capaci di rendere i live davvero pieno a livello di suono.

Sì, sono abituato a fare tutto da solo. Anche per questo disco avevo già precedentemente registrato e arrangiato i brani in casa. Poi abbiamo risuonato i pezzi in presa diretta a casa di Filippo Cornaglia (il nostro batterista) cosi facendo siamo riusciti a dare ai brani una base più spontanea, registrando con il nostro fonico/produttore Giuseppe Lo Bue. Successivamente ho continuato ad arrangiare e a lavorare a queste canzoni per un paio d’anni sempre con il supporto dell’instancabile Giuseppe. In questo percorso non nego di aver detto moltissimi no. All’inizio addirittura non volevo mettere su una band, non volevo proprio cominciare quest’esperienza...pensavo di non avere ne il tempo ne la voglia di affrontare da padre un “gioco” di questa portata. Mi è sempre piaciuto registrare, ma non me la sentivo di far uscire dischi perchè non volevo cominciare una vita fatta di concerti, sicuramente poi non nel ruolo di cantante.  Come dicevo prima, ho preso coraggio grazie ai miei amici. In ogni caso queste canzoni sono state registrate empiricamente e non ho mai avuto pressioni da parte di nessuno per fare le caose diversamente da come avevo deciso di farle. Sono molto legato al metodo empirico e il risultato ottenuto è figlio del fatto di aver lavorato con le orecchie, senza alcuna tecnica di riferimento.

A novembre hai anche presentato un cortometraggio al Torino Film Festival, che testimonia una sperimentazione artistica molto trasversale...

Mi sono sempre occupato di realizzare video e colonne sonore, ma per quel video in particolare le immagini sono state girate da Francesca Noto con la sua famiglia ad Agrigento. Io mi ero innamorato del volto di suo padre che avevo visto in un cortometraggio girato, appunto, da Francesca. Sotto le mie direttive e con il suo fresco contributo abbiamo confezionato il video di “Sogno l’amore”. Fare video è ancora adesso  il mio “vero” lavoro e continuo a farlo. Penso che quando uno deve raccontare se stesso, non è bello che siano altri a farlo per lui, quindi così come non mi farei mai scrivere canzoni da qualcun altro, non vorrei mai nemmeno che fosse qualcun altro a farmi un video...anche se in passato ho provato anche questa esperienza con il video de “I nostri piccoli occhi” realizzato da Cristiano Ferreira, il video di “Felice” realizzato da Giulio Milone (mentre ero impegnato a sistemargli le pareti di casa) e anche con il video di “Perdutamente” realizzato dalla mia compagna Irene Carbone con il mio aiuto.

Sei stato etichettato in diversi modi: come un Battisti redivivo, un illuminato della “musa” Radiohead, e altro ancora. Il tuo genere è sicuramente difficile al primo ascolto, soprattutto perché, forse, non si è più abituati ad ascoltarlo nel 2018. Ma chi è il tuo ascoltatore ideale?

Le canzoni non nascono per essere ascoltate da qualcuno. Non ho mai pensato a un pubblico, tanto che sono sempre stato molto imbarazzato all’idea di fare ascoltare le mie cose agli altri. E per di più non sono mai stato un appassionato di musica, non ho mai comprato un disco in vita mia. Quello che mi piace è registrare, da sempre, ma l’idea di avere un rapporto col pubblico non c’è mai stata. Fare questa esperienza con i miei migliori amici mi permette, senza dubbio, di prendere tutto questo con più serenità, ma non sarò mai uno showman.

Vuoi svelarci qualche progetto futuro?

Da quando è uscito il disco ho continuato a scrivere, non ho mai smesso. Ma ora sono impegnato a capire se c’è posto nella mia vita per questa esperienza musicale, se riuscirò a conciliarla bene con lavoro e famiglia. Nel caso tornerò felicemente a farla solo in camera. Di materiale, per un eventuale nuovo lavoro, ce n’è indubbiamente tanto. Vedremo.

Manuela Marascio