Cultura e spettacoli - 11 maggio 2018, 15:39

#SalTo18, Tornatore e l’epopea di Leningrado mai realizzata: “Anche oggi siamo assediati da un nemico invisibile”

Il regista ha raccontato al Salone del Libro la storia della sceneggiatura incompleta di Sergio Leone e del lungo anno in Russia per documentarsi

Com’è possibile che il cinema non si sia mai accorto della grandezza di questo episodio storico prima d’ora?”. Così Giuseppe Tornatore commenta al Salone del Libro il suo incontro con Leningrado, la sceneggiatura di Sergio Leone rimasta incompiuta, poi da lui rimaneggiata e affidata alle stampe di Sellerio.

Non lo ha mai realizzato, questo film, né mai lo farà. La storia dei 900 giorni dell’assalto dei tedeschi a Leningrado resta uno degli episodi più grandiosi della seconda mondiale, per due motivi: per la svolta fondamentale che determinò nel conflitto e per la forza - quasi senza paragoni - con cui i cittadini seppero resistere e sopravvivere.

Quando mi venne chiesto di prendere in mano il progetto dalla ceneri di Sergio Leone, dissi inizialmente molti no”, confessa Tornatore. “Ma poi ho accettato, e mi sono preso il giusto tempo per andare a San Pietroburgo a documentarmi. Ci ho vissuto un anno intero e mi sono via via appassionato sempre di più, adattandomi a una realtà a me estranea. Perché una delle cose più belle, per un cineasta, è proprio questa: immergerti in qualcosa che non ti appartiene”.

La sceneggiatura è incentrata sulla storia di una violoncellista e dei suoi figli durante l’assedio. Sergio Leone aveva invece previsto di inserire nel film un reporter americano, del tutto inventato, che facesse la cronaca di guerra. Una strizzata d’occhio ai possibili finanziamenti statunitensi per le riprese, costi che sono risultati insormontabili anche per Tornatore. Si sarebbe trattato di girare alcune scene direttamente in Russia, in pieno inverno, costringendo centinaia di comparse a dimagrire di molti chili per dare l’idea degli stenti per la fame affrontati dalla popolazione. Tra gli attori ipotizzati, Nicole Kidman e Clive Owen.

Morivano di fame – spiega Tornatore – ma hanno continuato a fare cultura per tutto il tempo dell’assedio: concerti, spettacoli, dibattiti... È questa la grandezza della storia. Come se mantenere viva la mente fosse un modo per sfamarsi”.

Oggi mi sembra che il mondo sia diventato una grande Leningrado circondata da un nemico invisibile. Pensando al film ho scoperto che con la cultura si sopravvive. È molto più che un alimento. E, di certo, un nazista, a quei tempi, questa cosa non la poteva capire”.

Manuela Marascio