L’8 marzo, in concomitanza con la Giornata della Donna, è stato pubblicato, in Italia, dalla casa editrice Alegre, un testo che, per circa trenta anni, è risultato relativamente introvabile: Donne, razza e classe. Il femminismo secondo Angela Davis della celebre attivista afroamericana, pubblicato per la prima volta nel 1981.
Introvabile, sia perché la tiratura è stata irrisoria, divenendo fuori catalogo ben presto, sia a causa della traduzione italiana del libro, Bianche e nere, dal carattere piuttosto fuorviante.
Alegre ha, perciò, deciso di mantenere il titolo originale, dal momento che “queste parole, donna, classe e razza, non hanno nulla a che vedere con la biologia, ma denotano, soprattutto le ultime due, un rapporto di potere, altrimenti innominabile”, ha commentato la traduttrice Marie Moise.
“Angela Davis – ha continuato - ci offre un metodo per comprendere il mondo, a partire da queste tre parole chiave e dalla loro concretezza, ricostruendo l’origine dei rapporti di potere stessi e lanciando anche una sfida alla nozione di dominazione e sfruttamento”.
“L’obiettivo avanzato dalla Davis, dunque, è quello di costruire alleanze e promuovere la libertà, perché non saremo libere finché tali non lo saremo tutte”, ha concluso.
“La scrittrice, inoltre – ha affermato la ricercatrice Vanessa Roghi –, ha scritto il libro da un punto di vista di margine sociale con l’intenzione di affermare la propria voce: la voce di una donna nera nell’ambito di un movimento, quello afroamericano, che individuava nel maschilismo un caposaldo, che lei cerca di distruggere passo dopo passo. Ha scritto, quindi, da intellettuale, decostruendo gli stereotipi: il ruolo della donna, infatti, era quello della “mami”, emblema di subalternità culturale. Le donne non solo erano considerate inferiori, ma anche responsabili di questo status di sottomissione”.
Ancora, risultano essere molteplici le similitudini con il mondo moderno, come ha concluso Marta Fana: “La divisione tra i gruppi sociali è ancora molto spiccata, e porta a un processo di non riconoscimento. Il libro della Davis, quindi, ci aiuta a rileggere degli aspetti della modernità che noi diamo per scontati”.