L’inverno di Giona di Filippo Tapparelli è il vincitore del premio Calvino 2018.
I risultati del concorso sono stati annunciati durante la lunghissima serata tenutasi ieri al Circolo dei Lettori. Luogo che continua, così, il suo sodalizio con il grande concorso letterario.
Tapparelli, autore veronese, molto commosso per l’obiettivo raggiunto, ha sbaragliato una concorrenza che quest’anno contava ben 720 partecipanti. Più uomini che donne, il 60% contro il 40%, più settentrionali che meridionali. Percentuali consolidatesi in questi anni, spiega il Presidente del premio Mario Marchetti, a cui va aggiunta una presenza in crescita dei lavori provenienti dall’estero. Quest’anno sono stati ben 39 i manoscritti giunti da parte di italiani residenti in Europa e negli Stati Uniti.
L’inverno di Giona è un potente giallo, ambientato tra le montagne venete e la mente allucinata del protagonista. Un lavoro costruito con meticolosa cura, studiando le condizioni dei malati di mente nel nostro paese e costringendosi, così racconta l’autore, a scrivere tutte le sere, di ritorno dal lavoro, segnando ogni volta una “maniacale” crocetta rossa sul calendario. Tanto impegno ha portato i suoi frutti e Tapparelli si è guadagnato così l’onore di uno dei premi più prestigiosi d’Italia.
Molto interessanti anche le opere degli altri finalisti: giovani e meno giovani, uomini e donne, completamente autodidatti o figli di scuole di scrittura creativa.
Le due menzioni speciali della giuria sono andate a Il Faraone di Riccardo Luraschi e Il Grande Vuoto di Adil Bellafqih.
Il primo racconta la figura del noto Cavaliere e del mondo corrotto di soldi e “olgettine”, visto attraverso gli occhi del suo contabile, estraneo a una realtà che poco comprende e ancor meno apprezza.
Il secondo è un romanzo distopico, ambientato in un futuro inventato ma non così improbabile. Un mondo dove realtà e “realtà aumentata” coesistono. Un mondo raccontato con grande abilità, anche attraverso la scelta di due registri linguistici diversi, più vero e verace quello per la realtà, ricco di consapevoli cliché quello per la “realtà aumentata”. Un’opera che ha scatenato l’evidente entusiasmo della giuria, in particolare di Teresa Ciabiatti e Mariapia Veladiano, che ne hanno tessuto le lodi in più di un intervento. Tanto da chiedersi come mai il libro non si sia portato a casa il primo premio. Forse questo genere di letteratura è ancora destinato, nel nostro paese, a rimanere un passo indietro nel giudizio?
Sinfonia delle nuvole di Giulio Nardo, invece, ha diviso i giurati, alcuni affatto entusiasti dell’opera, ma si è guadagnato comunque la menzione Treccani. Il riconoscimento, assegnato per la prima volta quest’anno, che ha premiato l’utilizzo peculiare del lessico, l’originalità linguistica e la creatività espressiva.
Infine, sono stati cinque gli autori che si sono guadagnati solo la soddisfazione di un posto in finale senza alcuna menzione speciale.
Marinella Savino, con il suo La sartoria di via Chiatamone, ha proposto una storia semplice, facilmente leggibile e pregna del tipico calore del sud.
Bruno Tosatti, con Talib, ovvero la curiosità, ha raccontato un mondo fantastico e dalle immagini incantevoli che, già con le poche righe lette durante la serata, si è guadagnato l’applauso e la meraviglia dell’intera sala.
Nicola Tucci, con l’originale Trovami un modo semplice per uscirne, ha realizzato un testo d'impianto teatrale: un dialogo tra due giovani con propositi rivoluzionari ma l’immaginario colonizzato dalla tv. Un botta e risposta ridotto all'osso, senza attribuzione, completamente spersonalizzato allo scopo di raccontare questo tempo. "Nasce da una scommessa, non ha un senso logico ma stilistico", ha confessato l’autore, stupendo tutti con tanta sincerità.
I due torinesi Maurizio Bonino e Valentina Drago, con il loro Omeocrazia, hanno lasciato un piccolo segno nella storia del Calvino. Essendo questa la prima volta a giungere, tra i finalisti del concorso, un libro scritto a quattro mani. Un’opera distopica che racconta un futuro dove tutto viene calcolato al millimetro in base alle risorse disponibili. Tutto, anche la durata della vita degli uomini.
Ultima ma non ultima, la giovanissima Loreta Minutilli, classe 1995, che con Elena di Sparta ha realizzato un interessante e riuscito esperimento. Ha raccontato il mito dal punto di vista e dalla voce di Elena, non più solo corpo nelle mani degli uomini ma essere senziente. “L’utilizzo del mito greco per parlare dell’oggi e della condizione della donna”, ha sottolineato Marchetti.
Quella di ieri è stata una serata lunghissima, durante la quale il lavoro di alcuni autori è emerso più di quello di altri.
Il Calvino non può assicurare certo una carriera da romanziere, destino che tocca solo a una manciata di fortunati e talentuosi privilegiati, ma rappresenta un importante punto di partenza e un ottimo palcoscenico per il vincitore e per tuti i finalisti. Da sempre e, ancor di più negli ultimi anni, le opere segnalate dalla giuria finiscono rapidamente sugli scaffali delle librerie, vantando anche case editrici di tutto rispetto.
Chissà se varrà lo stesso anche per i protagonisti di quest’ultima edizione? Probabilmente sì.