Eventi - 22 ottobre 2018, 14:15

In scena la storia di Mara Cagol e del suo pallone rosso e blu

In scena una storia drammatica legata ai fatti di cronaca dell'Italia degli anni Settanta

«…Avevo un bel pallone rosso e blu, ch’era la gioia e la delizia mia. S’è rotto il filo e m’è scappato via, in alto, in alto, su sempre più su. Son fortunati in cielo i bimbi buoni, volan tutti lassù quei bei palloni». La filastrocca era scritta su un quaderno di Margherita bambina. Quasi un’allegoria strana, onirica, dell’anelito di tutta una vita. Questa bambina cattolica di Trento di cognome faceva Cagol. Sarebbe poi diventata per tutti Mara Cagol: fondatrice e capo-colonna delle Brigate Rosse, morta a trent’anni il 5 giugno 1975 in un drammatico scontro a fuoco con i Carabinieri a Melazzo presso Acqui Terme.

Angela Demattè, tridentina anche lei, classe 1980, scrive Avevo un bel pallone rosso nel 2009. Lo spettacolo viene applaudito in Francia, Svizzera, Lussemburgo e Belgio per quattro stagioni dal 2012 al 2016 con la regia di Michel Dydim e protagonisti Richard e Romane Bohringer. Oggi, a cinquant’anni dal Sessantotto e a otto dal primo allestimento, Carmelo Rifici ha preparato una nuova e contemporanea edizione dello spettacolo. Il testo torna così in scena in occasione del cinquantesimo anniversario di una stagione di protesta politica e ideale che sarebbe durata più di dieci anni sfociando negli anni di piombo.

Il nuovo allestimento di Avevo un bel pallone rosso è prodotto da TPE assieme a LuganoInScena e a CTB - Centro Teatrale Bresciano, in coproduzione con LAC - Lugano Arte e Cultura, e viene presentato per la Stagione TPE al Teatro Astra da martedì 23 a domenica 28 ottobre 2018.

Lunedì 22 alle 18.30 al Polo del'900 l'incontro con l'autrice in dialogo con lo storico Gianni Oliva. Ingresso libero.

In scena due personaggi: Margherita e suo padre (Francesca Porrini e Andrea Castelli, che alternano l'italiano al veneto tridentino). Attraverso i loro dialoghi si racconta la vicenda della fondatrice delle Br. E soprattutto, si delinea il rapporto concreto e drammatico tra un padre e una figlia. Si cerca di rappresentare una situazione dove tutto, dal linguaggio ai troppi silenzi, dia l’immediata sensazione di un eccessivo «non detto». Qualcosa di freddo e struggente allo stesso tempo, che è proprio di una terra faticosa e di un’epoca burrascosa. E poi si cerca di far intravedere l’aberrazione del linguaggio ideologico, che provoca la frattura finale tra Margherita e suo padre. E si scopre, infine, che è difficile dare colpe e ragioni. E, forse, non è questa la cosa interessante. Ciò che è interessante è il mistero che rimane all’interno di un affetto e di un distacco.

cs