Cultura e spettacoli - 03 novembre 2018, 09:29

Alla Fondazione Merz l'artista che fa rinascere la bellezza dalle macerie del Kosovo

Fino al 3 febbraio 2019 la personale inedita di Petrit Halilaj, vincitore del Mario Merz Price. La fase finale di un progetto curato da Leonardo Bigazzi in tre diverse tappe

Una ferita aperta lasciata dalla guerra, che andava risanata con il dialogo tra gli abitanti e la cultura”. Così Petrit Halilaj, artista kosovaro vincitore della seconda edizione del Mario Merz Price, descrive lo scenario di Runik, uno dei tanti paesi devastati dal conflitto nei Balcani, dove si erge come continuum storico nella memoria l’unico edificio pubblico rimasto dell’urbanistica originaria. Un simbolo di identità culturale che rappresenta il fulcro di Shkrepëtima, la nuova personale dell’artista ora esposta alla Fondazione Merz fino al 3 febbraio 2019.

Un progetto articolato, a cura di Leonardo Bigazzi, che ha visto la prima tappa in una performance lo scorso 7 luglio presso le rovine della Casa della Cultura a Runik. Risalente all’epoca dell’ex Jugoslavia, l’edificio un tempo ospitava una biblioteca con oltre 7 mila volumi, un teatro e la sede della cooperativa sociale del villaggio. Tutte le attività erano poi state interrotte con l’aggravarsi del conflitto, lasciando la struttura in totale abbandono fino all’intervento di recupero. Abbiamo riflettuto sul significato della materia”, spiega Bigazzi. “Viviamo in una fase storica in cui non diamo tempo alle macerie di diventare rovine, siamo presi dalla smania di rimuovere al più presto ciò che è deteriorato. Ma sono proprio le rovine a fornire la testimonianza di un’identità culturale”.

La seconda tappa ha visto l'allestimento della mostra al Zentrum Paul Klee di Berna, dal 20 luglio al 19 agosto, punto di contatto tra Shkrepëtima e la ricerca precedentemente sviluppata con le opere RU. 

A Torino Halilaj ha quindi ricostruito lo spazio della Casa della Cultura all’interno della Fondazione, struttura industriale degli anni Trenta, proponendo i volumi e le proporzioni esatte e utilizzando le scenografie dello spettacolo.

Sono molto felice di aver lavorato con un team composto da geografie tanto diverse, facendo ritorno al paese in cui sono cresciuto”, ha commentato Halilaj in occasione dell’inaugurazione lo scorso 29 ottobre. “Lì non capitava un evento culturale da trent’anni. E la gente del posto aveva in mente cosa significasse fare cultura: ne sentiva la mancanza”.

Shkrepëtima significa “lampo”: la performance realizzata a Runik, infatti, intendeva agire come una scintilla capace di riattivare lo sviluppo culturale. Per estensione, il termine indica anche un pensiero improvviso, un moto che smuova le coscienze. Del resto il sogno di Halilaj continua a essere quello di un ritorno alla convivenza multiculturale, una volta fatta scattare la leva verso un cambiamento sociale e intimistico, sulla scia della trasformazione fisica dell’ambiente.

La mostra alla Fondazione Merz si apre con una serie di sculture e installazioni monumentali che contestualizzano le scenografie e i costumi della performance. Il letto, nello spettacolo, indicava il risveglio del teatro grazie al suono di quindici ocarine – lo strumento musicale più antico dei Balcani –, qui sorrette sopra il giaciglio a indicare la leggerezza che si eleva dal peso della storia. Centinaia di frammenti recuperati dalle maceria rimosse durante la riqualificazione si sviluppano dal soffitto in giù, con magistrale bilanciamento ed equilibrio.

Lungo l’asse longitudinale dell’edificio, sono disposti i sipari rossi e i fondali dipinti usati durante lo spettacolo. Il visitatore può notare, camminando, alcuni frammenti di drammi albanesi recitati a Runik da compagnie amatoriali, con un forte messaggio sociale di denuncia. E ancora, sculture di uccelli che dall’altro osservano la scena – animali ricorrenti nell’immaginario dell’artista – e una serie di disegni e studi concettuali realizzati su vecchi documenti trovati alla Casa della Cultura.

Termina il percorso espositivo un video che riporta una ricostruzione soggettiva di alcuni momenti della performance, con partitura musicale composta da ANDRRA e Christoph Hamann.

Un viaggio nella storia di un paese che, dalla sofferenza bellica, si risolleva con la rinascita culturale, illuminato da un lampo di speranza.

Manuela Marascio