“Lo straniero, isolato dai suoi cittadini e dalla famiglia, dovrebbe essere oggetto del massimo amore da parte degli uomini”. Suonano ormai lontanissime e irraggiungibili le parole di Platone: le ultime cronache intrise di xenofobia e razzismo ne sono la prova. Ma il recente approdo di Amnesty International a San Salvario, per presentare il rapporto sui diritti umani nel mondo nell’ultimo anno, testimonia l’urgenza di fare il punto, proprio nel quartiere in cui il tasso di multiculturalismo è tra i più alti.
Il dibattito, organizzato dalle Donne per la Difesa della Società civile, apre il cammino verso il 10 dicembre, data in cui si festeggerà in piazza, a Torino come in tante altre città, il settantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani.
Come illustrato dai rappresentanti regionali di Amnesty, le principali cause delle attuali crisi mondiali umanitarie sono riconducibili a politiche d’odio, discriminazione delle minoranze per fini elettorali e commercio internazionale di armi. Secondo i dati Unhcr del 2018 “sono oltre 200 milioni le persone attualmente in movimento nel mondo, tra cui 68,5 milioni di migranti forzati”, spiega Cristiana Cavagna. Significativo il dato italiano, con una presenza di 5 milioni di profughi regolari equivalente alla percentuale di italiani all’estero. “Dal 2017 gli sbarchi in Italia sono nettamente diminuiti”, precisa poi Mariella Trapanelli, presidente regionale Unicef, “ma in 9 casi su 10 i minori non sono accompagnati”.
È freschissima l’approvazione alla camera del Decreto sicurezza e immigrazione, dopo il sì del senato lo scorso 7 novembre. Chi sul territorio piemontese si occupa di accogliere gli stranieri, già da tempo si stava preparando al cambio di vento. “Fino a che punto siamo disposti a violare i diritti umani in nome della sicurezza?”: se lo chiede Ornella Fiore, di Asgi (Associazione per gli Studi giuridici sull’Immigrazione), esperta di tematiche legate ai minori non accompagnati. “Il decreto sicurezza comprime il diritto di asilo. L’abrogazione della protezione umanitaria e l’assenza di permesso di soggiorno per tanti immigrati porterà ancora più delinquenza”.
E non a caso se ne discute a San Salvario, che rappresenta, a Torino, il crocevia esemplare della mescolanza di etnie. Suor Giuliana Galli, presidente del Centro Mamre, con una delle due sedi in via Saluzzo, racconta del suo impegno per l’abbattimento dei pregiudizi razzisti, l’accoglienza dei bisognosi e l’integrazione. “Ci stiamo allargando, il nostro lavoro con i mediatori culturali prosegue e ha bisogno di nuovi spazi”, spiega. E da oltre dieci anni prosegue incessante il lavoro nel quartiere di don Mauro Mergola, parroco della Chiesa dei Ss. Pietro e Paolo: “garantiamo ai giovani il diritto di sognare”, dice. Un’attenzione per i più deboli declinata secondo tre principi: la cultura del rispetto (“accogliamo in primis la persona, aiutiamo i giovani a costruirsi una bella vita”), la costruzione di una propria identità di essere umano (“altrimenti si rimane per sempre emarginati”) e la cosciente sintesi tra le proprie tradizioni culturali e la vita dell’oratorio in cui i ragazzi sono inseriti. “Adulto è chi sa essere autonomo, - dice -, chi non inquina l’umanità in cui vive, chi è disposto a costruire una comunità. Perché l’integrazione non è un punto d’arrivo, ma un processo”.
Lo stesso percorso formativo viene affrontato dai ragazzi di Asai, associazione operativa da oltre vent’anni. “In tutto questo tempo abbiamo scoperto il vero volto dell’immigrazione”, racconta Riccardo D’Agostino, educatore. “A seconda dei diversi flussi migratori abbiamo avuto a che fare con marocchini, albanesi, romeni, afghani. L’obiettivo per tutti era di creare legami sul territorio, con un occhio nel presente e un altro proiettato verso il futuro”. Un esempio del lavoro di integrazione è ben rappresentato dalla campagna di comunicazione “Fragile”, in cui i giovani sono stati fotografati lanciando l’appello a essere “trattati con cura”.
A gennaio Asai presenterà in pubblico i primi risultati di questo lavoro, guardando sempre avanti, nonostante tutto, e continuando a credere in una città aperta alle differenze.