“Non si può essere stranieri per sempre”. Uno slogan portato con orgoglio, grinta e sete di conoscenza: sono questi i moti che animano i giovani migranti torinesi in cerca di una società di cui sentirsi pienamente parte. Lo dimostra il progetto “Luoghi comuni. Percorsi storico culturali tra pari rivolti a rifugiati e richiedenti asilo con il coinvolgimento delle comunità locali”, che in tutta Italia ha coinvolto tantissimi ragazzi provenienti dall’Africa, dal Medio Oriente, dall’Asia. Straniero è chi non comprende la comunità in cui è inserito, chi viene tenuto fuori da un muro e non ha accesso allo scambio culturale. Ma stranieri siamo anche noi, che le barriere le ergiamo con il pretesto di una protezione fasulla, in realtà manifestazione chiara di insicurezza e precarietà.
Generazione Ponte e Mosaico sono le due associazioni vincitrici, in Piemonte, del finanziamento UNHCR-INTERSOS attraverso il programma di capacity-building “PartecipAzione – Azioni per la Protezione e la Partecipazione dei Rifugiati”. Proprio ieri, in occasione del settantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, sono stati presentati al Museo del Cinema i risultati finali del progetto, che ha visto partecipare, dal 27 ottobre al 24 novembre, una trentina di giovani stranieri provenienti da quattordici nazioni diverse. “Ci siamo chiesti come affrontare la situazione attuale dei migranti”, ha spietato Ahmed Abdullahi, presidente di Generazione Ponte. “Il nostro intento era di promuovere e sviluppare il protagonismo dei rifugiati attraverso la conoscenza della storia d’Italia”.
Ecco allora che l’integrazione è passata attraverso l’immersione nel patrimonio storico e culturale di Torino, visitando poli di interesse come il Museo del Risorgimento, il Museo diffuso della Resistenza, il Museo dell’Automobile, il Museo del Cinema e il Museo Egizio. Tappe toccate e approfondite grazie al supporto di storici locali, quali Carlo Greppi, Valentina Colombi, Marco Meotto, Aldo Agosti, e insieme con altri cittadini torinesi che si sono resi disponibili a raccontare aneddoti e curiosità. Il progetto ha anche visto protagonisti, in quanto “leader alla pari rifugiati per rifugiati”, cinque giovani mediatori, fondamentali per consentire una maggiore comprensione linguistica e culturale dei luoghi visitati. “Dopo tanti anni che vivo qui, ho imparato che Torino è stata la prima capitale d’Italia”. “Cinema, radio e tv sono nati qui”. “La città è stata un importante polo per l’industria automobilistica”. Queste, e tante altre, le conoscenze acquisite dai ragazzi durante un mese intensivo di tour guidato.
“Sono in Italia da molto tempo e ho lavorato diversi anni alla Fiat”, ha raccontato Mohammed Hassan, uno dei soci fondatori di Generazione Ponte. “Visitando il museo dedicato alla fabbrica, ho imparato che una volta erano i meridionali a cercare lavoro qui a basso costo”. E ha aggiunto: “Vogliamo dimostrare la nostra voglia di fare e imparare. Molto rifugiati, una volta ottenuti i documenti, pensano solo a trovare un lavoro, e pochissimi hanno modo di visitare musei o andare al cinema. Ma essere cittadini significa anche questo. Il progetto ce ne ha dato la possibilità”.
Così la storia d’Italia, dall’unità alle lotte degli anni Settanta, ha buttato giù ogni barriera culturale parlando di valori inalienabili (in questa nostra “fragilissima democrazia”, come ha chiosato Greppi) a chi sceglie di essere cittadino del mondo.
Nel corso della presentazione è intervenuta anche Carlotta Sami, portavoce per il Sud Europa dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. “Continuiamo a promuovere un ideale in cui crediamo fortemente – ha detto –, cioè che i rifugiati sono una grandissima opportunità per le comunità che li accolgono. E le società che si barricano dietro ai muri sono in realtà le più insicure: dimostrano poca convinzione rispetto al passato e alle loro tradizioni. È un patriottismo debolissimo”.