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Attualità | 06 gennaio 2019, 13:31

Nosiglia: "Migranti come i Magi: se non diamo risposte ai loro bisogni, facciamo come Erode"

L'arcivescovo nella sua omelia: "Sono i poveri che spaventano, perché da loro viene il rinnovamento e per mezzo di loro cambia la storia del mondo". E invita tutti a uscire dalla paura e dal perbenismo

Nosiglia: "Migranti come i Magi: se non diamo risposte ai loro bisogni, facciamo come Erode"

"Se Dio sta in Cielo, va bene; se scende ad impastarsi con le nostre situazioni di ogni giorno disturba, perché va accolto e riconosciuto come un uomo che tiene il suo posto tra gli uomini; va ascoltato come uno che ha qualcosa da dire sul nostro fare, operare, lavorare, amare, progettare; va temuto da chi ha potere e forza, perché potrebbe scardinare i meccanismi che regolano i rapporti tra persone e comunità". E' questa provocazione lanciata dall'arcivescovo Cesare Nosiglia durante la tradizionale Festa dei Popoli, celebrata questa mattina alla Chiesa del Santo Volto, a Torino. Un'omelia dedicata ai migranti e rivolta ai "potenti", rappresentati biblicamente da Erode: un uomo spaventato dalla nascita di Gesù, povero e umile, eppure grandissimo, temuto perché in grado di scompaginare i destini del mondo. 

"Sono i poveri che spaventano - ha proseguito Nosiglia -, perché da loro viene il rinnovamento e per mezzo di loro cambia la storia del mondo. In loro c’è lui, il Dio grande, che abbatte i potenti dai troni ed esalta gli umili".

E nel giorno dell'Epifania, quando il divino si manifesta nella semplicità di una capanna, il messaggio ai fedeli ha quasi il suono di una sfida, un vero e proprio invito a "lasciarci provocare dalle domande espresse o inespresse, ma sempre reali e concrete, dei poveri, degli immigrati, dei senza fissa dimora, degli ultimi. Dobbiamo camminare con loro, perché essi sanno bene dove incontrare Dio, sanno
seguire la stella che conduce a lui, sanno riconoscerlo e diventano nostri maestri di vita e di amore
".      

"I Magi - prosegue Nosiglia - appartenevano ad altre nazioni e anche religioni, rispetto al popolo ebraico. Capita anche a noi oggi che tante persone di altri Paesi e fedi, bisognose di accoglienza e di incontro, ci interroghino con la
loro presenza, con le loro necessità. Esse interrogano le nostre istituzioni e la nostra Chiesa, la nostra società torinese con la domanda: dov’è il Messia che è nato? Voi che dite di credere in lui, sapete indicarci la strada che ci permette di riconoscerlo ed incontrarlo? Se la nostra risposta resta estranea ai loro bisogni esistenziali, spirituali ed umani, facciamo come Erode, i sacerdoti e gli scribi, non li accompagniamo al Signore, li lasciamo vagare da soli; ma in tal caso forse non arriveremo mai a gustare la vera gioia di vedere il Salvatore e di adorarlo come i Magi
".

"Se invece comprendiamo che la loro provocazione ci stimola ad uscire dalla nostra paura, dal nostro perbenismo e paternalismo, dal nostro dare buoni consigli senza impegnarci in prima persona nel farci carico di stare con loro sulla strada della loro vita di ogni giorno, allora la loro presenza diventerà forza di cambiamento anche per la nostra fede e la renderà più sicura, gioiosa e ricca di novità. Allora incontreremo il Dio con noi e dalle parole conosciute ed ascoltate in chiesa, passeremo alla Parola, accolta, vissuta e testimoniata nella vita".

"L’Epifania - ha concluso - è la festa di questo Dio difensore degli ultimi, che si rivela a tutti, ricchi e poveri, potenti e umili, italiani o stranieri, cristiani e non, come il Dio che salva dalla divisione e dall’indifferenza, dall’odio e dalla violenza, dalla
discriminazione e dal rifiuto dell’altro. In lui c’è unità, pace e amore, perché non fa differenza di persone e si incarna in ogni uomo che è, come lui, povero, solo, rifiutato e minacciato
".

Redazione

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