Mercoledì sera, un Circolo dei Lettori gremito ha accolto il maestro Dario Argento. Ufficialmente l’incontro doveva essere incentrato sulla raccolta di racconti Horror, storie di sangue, spiriti e segreti, pubblicata da Mondadori nel febbraio del 2018. Sei storie scritte dal regista, ispirate a sei luoghi dell’orrore.
Ma, dato il legame speciale che Argento ha sempre avuto con la nostra città, rapidamente l’attenzione si è spostata su quest’argomento. “Io stasera, a Torino, sono tornato a casa” ha esordito. E non è stata certo una frase di circostanza considerando che Argento ha girato qui alcune tra le sue pellicole più famose, tra cui il celeberrimo Profondo Rosso (1975).
“La storia tra me e questa città è molto lunga. Cominciò moltissimi anni fa, quando mio padre dovette venire a Torino per un lavoro e scelse me, che ero il più grande dei figli, per accompagnarlo. Arrivammo di sera e attraversammo queste strade lucide di pioggia, con luci gialle che si riflettevano sulla pavimentazione, piazze grandissime e poche persone in giro. Fui rapito dallo spirito del luogo. E non intendo il trascendente, l’esoterico o il misterioso di cui tanto si parla. Ma lo spirito degli abitanti e dell’architettura, ogni angolo era diverso, un guazzabuglio di stili e influenze”.
La fascinazione fu tale che, molti anni dopo, in procinto di cominciare il suo primo film, L’uccello dalle piume di cristallo (1970), il maestro chiese ai finanziatori di girarlo proprio a Torino. “Ma all’epoca la città era ai margini del cinema, sarebbe stato necessario portare tutte le maestranze da fuori. E quindi la mia richiesta fu respinta e il film si fece a Roma”.
L’anno successivo, però, forte del grande successo ottenuto con il suo esordio, Argento ripeté la stessa richiesta per il suo secondo film e questa volta fu esaudita. E così Il gatto a nove code (1971) fu girato a Torino. “Penso di essere stata la persona” racconta il regista, “che ha creato in questa città un gruppo di lavoro di scenografi, macchinisti, attrezzisti, che hanno portato il cinema qui e lo hanno fatto crescere”. Un’intera generazione di lavoratori torinesi della settima arte, nata grazie alla spinta e all’opportunità data dal maestro dell’horror.
Negli anni poi, Dario Argento ha spostato l’attenzione dal centro alla periferia e, per girare Non ho sonno (2001), è entrato letteralmente nelle case dei torinesi. “Andai nei quartieri che Agnelli aveva costruito per i suoi operai. Quando andavo a vedere quelle case tutti erano contenti, mi accoglievano, mi facevano visitare i loro appartamenti, le camere, provare perfino i letti. Mi raccontavano le loro storie. Storie che nessuno aveva mai chiesto. Fatelo anche voi, visitate quei posti, parlate con quelle persone, hanno molto da raccontare”.
L’amore di Argento per Torino è tangibile e reciproco. Lui una volta disse “Io faccio cinema perché voglio essere amato”. Lo scopo è raggiunto, il sentimento è forte, sincero e meritato.