Attualità - 27 marzo 2019, 09:48

Il nuovo ostello di Cavoretto ridà speranza a 24 migranti: "Modello positivo, nonostante la politica"

Ha riaperto a fine febbraio il centro d'accoglienza chiuso un anno fa, ora affidato alla cooperativa sociale "Le soleil". I richiedenti asilo, tra i 20 e i 30 anni, studiano o seguono percorsi professionali in attesa del responso della commissione

Quando un anno fa venne annunciata la fine del “modello Cavoretto” per i richiedenti asilo, fu il borgo stesso a ribellarsi. Caso più unico che raro nella recente storia dei sistemi di accoglienza, la chiusura del centro ospitato nell’ex hotel Parco Europa venne sentita da tutti come una pesante sconfitta. Non solo umana, per la perdita di una validissima opportunità d’integrazione, ma sociale in primo luogo, perché gli ospiti della struttura dall’estate 2016, e dopo le iniziali reticenze dei residenti, si erano inseriti omogeneamente nella vita del quartiere, con azioni solidali, interventi di decoro urbano e momenti culturali condivisi.

Ora il centro d’accoglienza è rinato. Ne è cambiata la gestione – affidata alla cooperativa sociale “Le soleil”, dopo la rinuncia delle precedenti “Agape” e “Carapace”, che non hanno partecipato al bando di rinnovo nel marzo 2018 – e l’edifico stesso è stato interamente ristrutturato. Così, dal 28 febbraio le porte dell’ostello di Cavoretto si sono aperte a nuovi arrivi, prima un gruppo di dieci, a seguire gli altri. Gli ultimi il 20 marzo. “Tanti sono reduci da precedenti esperienze di accoglienza”, ha spiegato Donatella Giunti della Prefettura di Torino durante un sopralluogo nell’edificio con la Circoscrizione 8. “La maggior parte quindi sa già l’italiano, ha la terza media e sta seguendo dei percorsi di formazione professionale”.

I migranti attualmente presenti sono 24, tra i 20 e i 30 anni, e c’è spazio massimo per una persona ancora. “Di questi, 22 arrivano dal nord Africa dopo gli sbarchi sulle nostre coste – ha precisato la responsabile del centro, Alessia – mentre gli altri, uno pakistano e l’altro afghano, via terra”.

Per chi ha già avuto esperienze in altri centri – continua – la difficoltà sta nell’abituarsi al trasferimento, dal rapporto con gli operatori a ai cambiamenti nel quotidiano. Molti non capiscono la necessità di doversi spostare, in relazione alla scadenza delle concessioni e ai bandi di gara per le varie strutture”. Esattamente come accaduto ai richiedenti asilo del “vecchio” Cavoretto, costretti a traslocare a Superga l’anno scorso.

“Le soleil”, da parte sua, sta orientando i suoi ospiti al rispetto degli spazi comuni e alla giusta condivisione, attraverso turni di lavoro in cucina o per le pulizie. Così come la cura dell’enorme giardino esterno, che dà su un panorama mozzafiato. “Non possiamo chiedere troppo, in termini di tempo, perché tanti di loro già lavorano o stanno frequentando dei corsi”, spiega Alessia. “Ma è importante che imparino cosa significa abitare una casa dove sono presenti altre persone”.

Nata nel 2004, e con sede a Verrès (AO), la cooperativa si occupa di servizi sociali volti al benessere fisico e psicologico dei soggetti coinvolti, dall’ambito educativo a quello sanitario, con una particolare attenzione all’inserimento dei profughi nella società. Tra i capisaldi dei progetti portati avanti, la collaborazione attiva tra operatori e beneficiari, per arrivare all’autonomia completa dell’individuo mediante inserimenti lavorativi e abitativi.

Una linea che intende proseguire quanto di positivo già realizzato dai gestori precedenti, finché gli ospiti, che permangono in struttura all’incirca due anni, non riceveranno l’esito della commissione per il permesso di soggiorno. “Su Cavoretto è stato svolto un ottimo lavoro dalla Prefettura – ha commentato il presidente della Circoscrizione 8 Davide Ricca –. Tuttavia mi preoccupa che una progettualità del genere possa essere minata dalle politiche in atto, in primis per la riduzione del pocket money ai migranti. Un modello come quello di Torino, apprezzato a livello nazionale, rischia così di essere messo in discussione. E non vogliamo che gli effetti del decreto sicurezza si risolvano nell’ampliamento di comunità innaturali di migranti stile ex Moi. Continuiamo piuttosto a essere d’esempio come prassi da seguire nel sistema d’accoglienza”.

Manuela Marascio