C’è stato un decennio, quello degli anni Novanta, in cui il massimo campionato italiano era considerato il più bello di tutti. Era la Serie A delle sette sorelle: Juventus, Milan, Inter, Roma, Lazio, Parma e Fiorentina. Squadre capaci e abituate a vincere, non solo in Italia ma anche in Europa.
Erano gli anni in cui la passione per il calcio portò il coinvolgimento diretto di grandi imprenditori – Gianni Agnelli, Silvio Berlusconi, Massimo Moratti, Franco Sensi, Sergio Cragnotti, Vittorio Cecchi Gori e Callisto Tanzi – che resero possibile per le rispettive squadre competere ai massimi livelli continentali. Era, per capire meglio quello di cui stiamo parlando, l’epoca dei successi del Milan di Fabio Capello, della Juventus di Marcello Lippi, dell’Inter di Gigi Simoni, della Fiorentina di Claudio Ranieri, della Roma di Zdeneck Zeman, della Lazio di Sven Goran Erikson e del Parma di Nevio Scala prima, e Carlo Ancellotti poi.
La crisi del calcio italiano negli anni 2000
Anche oggi che la Serie A non è più il campionato top d’Europa, il calcio rimane saldamente lo sport più seguito in Italia, capace di generare, in era pre-Covid, ricavi per ben 5 miliardi di euro. A questi si sommano gli oltre 248 milioni di euro versati all’Erario dalle scommesse sul calcio, di cui oltre 38,5 milioni di euro (il 15,7%) arrivano dalle scommesse fisiche e dalle scommesse online sulla Serie A.
Ma che cosa è accaduto al nostro calcio nel giro di poco più di dieci anni? E perché con l’arrivo del nuovo millennio è iniziato il lento declino della Serie A?
Finita l’era d’oro dei “presidentissimi” e complice una crisi economica mondiale, si è assistito a un aumento sempre più marcato del gap tra quello italiano e i campionati di altri Paesi europei. La crescita di interesse verso i guadagni provenienti dai diritti televisivi ha portato sulla scena una nuova generazione di imprenditori – per lo più arabi e cinesi – intenzionati a investire nel calcio proprio laddove era possibile trarre maggiori profitti dalla trasmissione delle partite: Inghilterra, Spagna e Germania.
Le vittorie internazionali sono progressivamente calate, mentre la lancetta dell’interesse nei confronti del brand si è spostata principalmente dalla Serie A verso la Premier League inglese, la Liga spagnola e la Bundesliga tedesca.
La Serie A tra mancati successi in Europa e rinascita interna
Quando si vuole essere al top del calcio in Europa, non si può evitare di pensare alla Champions League. Ed è proprio qui che salta all’occhio la disparità finanziaria tra Italia da una parte e Inghilterra, Spagna e Germania dall’altra. A differenza del nostro Paese (due volte finalista con la Juventus e due volte perdente), nell’ultimo decennio le ultime tre si sono aggiudicate almeno una Champions.
Nonostante un ruolino europeo non esattamente incoraggiante, il calcio italiano sta tuttavia mostrando alcuni segnali di rinascita. Innanzitutto, da un punto di vista tecnico e tattico, avvicinandosi ai dettami del calcio moderno. Nelle squadre della Serie A di oggi si inizia ad apprezzare un gioco più dinamico, corale e propositivo, che si scosta dall’ormai vecchio e superato schema del catenaccio. Ne sono oggi una chiara dimostrazione l’Atalanta di Giampiero Gasperini e il Sassuolo di De Roberto De Zerbi. E poi il Napoli di Rino Gattuso, il Milan di Stefano Pioli e l’Inter di Antonio Conte, che prediligono la qualità della costruzione del gioco. Ma anche la Juventus di Andrea Pirlo, che, seppur con qualche difficoltà, mostra di essere tenacemente alla ricerca di creare gioco senza perdere di intensità.
Quello che si evince oggi dal calcio del massimo campionato italiano è la volontà di tornare grande in Europa. Il processo di rinnovamento tattico in atto si rispecchia nel maggior numero di gol, nell’atteggiamento più offensivo e nella crescita della capacità tecnica delle squadre in campo.