- 28 ottobre 2019, 07:54

Le associazioni delle donne africane si riuniscono a Torino per chiedere maggior considerazione

L'occasione è il Forum Nazionale delle Donne Africane. Mbiye Diku: "Non abbiamo riconoscimenti né finanziamenti, ma non considerateci volontarie. Vogliamo un futuro etico, visibile e sostenibile"

Venerdì scorso, 25 ottobre, si è tenuta a Torino la seconda edizione del Forum Nazionale delle Donne Africane. Un evento che ha attirato un pubblico di ogni genere e età, per la maggior parte donne di origine italiana. Conferenze, dibattiti aperti e laboratori hanno garantito uno scambio di pensieri e proposte per il futuro delle donne straniere in Europa.

L’obiettivo di questo incontro è di mettere in luce il mondo dell’associazionismo femminile africano all'interno del territorio nazionale e internazionale. Il focus si è centrato sulla presenza attiva a livello sociale, politico ed economico delle donne immigrate che è spesso ricoperto di pregiudizi e stereotipi negativi e che, di conseguenza, le rendono invisibili all'opinione pubblica e politica.

"La nostra presenza - ha detto Suzanne Mbiye Diku, ginecologa ed ostetricia di origine congolese, dirigente medico dell’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e in lotta contro le malattie della povertà nel mondo - è particolare e per questo l’Europa non può disconoscerla. Noi siamo una minoranza, ma una minoranza importante perché siamo in grado di produrre dati". La dottoressa ha partecipato nel 2007 al Black European Women Council, un momento che ha scritto una pagina fondamentale per la storia delle donne africane. Questa occasione ha dato modo alle donne straniere di poter chiedere politiche inclusive e non discriminanti per combattere il razzismo in Europa, soprattutto nei loro confronti.

Le prime associazioni femminili africane nascono intorno agli anni Ottanta, ma tutt’oggi non ricevono alcun finanziamento né dalle istituzioni nazionali, né dall’Unione Europea. I membri attivi delle associazioni sono sempre stati considerati delle volontarie, ma questo appellativo, dice Mbiye Diku, non piace perché loro “sono delle esperte in materia”. Questa carenza di riconoscimento economico e sociale è uno dei motivi che spinge le donne a riunirsi per far sentire la propria voce. Nel corso del tempo le associazioni sono diventante uno strumento utile per la figura della donna come lavoratrice e cittadina attiva e partecipe. Si ricerca, dunque, una società inclusiva per chi si ritrova in condizioni di emarginazione.

Riguardo all’Agenda 2030, punto cruciale dell’incontro, Suzanne sostiene che siamo in forte ritardo, ma la fiducia nei risultati è ancora forte: potrebbe infatti essere in grado di cambiare il futuro dell’immagine femminile e garantire un futuro etico, visibile e sostenibile, parole chiave dell’Agenda che la dottoressa tende a sottolineare. Inoltre, aggiunge: ”In questo momento storico intelligenza e umanità sono messe da parte, ma a breve si verificherà una situazione capovolta. Le minoranze saranno la maggioranza e bisogna chiedersi cosa fare a quel punto. La cultura e la conoscenza dovrebbero prevalere in questa società e noi, portando avanti i nostri valori, vogliamo arrivare a questo”.

Giulia Amodeo