Cultura e spettacoli - 20 maggio 2020, 20:00

"I social hanno ampliato un settore di nicchia in modo trasversale: le arti decorative sono bellezza per tutti" [INTERVISTA]

La Fondazione Accorsi-Ometto riaprirà al pubblico il 18 giugno, a un anno esatto dalla morte del presidente benemerito. Il direttore Luca Mana: "Inaugureremo la nuova sala Arti del Barocco più una mostra dedicata ai grandi scultori del Novecento"

Luca Mana, come si sta preparando la Fondazione Accorsi-Ometto alla riapertura dello spazio museale? In che modo pensate di agevolare il percorso di visita?

Stiamo lavorando per poter riaprire in sicurezza sia il percorso permanente sia gli spazi temporanei. Non ripartiremo il 2 giugno come gli altri, ma abbiamo deciso di posticipare l’apertura al 18 giugno, data per noi simbolica perché è passato esattamente un anno dalla morte di Giulio Ometto, che più di tutti ha segnato la storia della nostra realtà culturale. Abbiamo incontrato in proposito il nostro ingegnere della sicurezza per stabilire le misure: gli ingressi saranno contingentati, abbiamo predisposto in biglietteria degli schermi per favorire il distanziamento tra pubblico e personale, e nelle sale ci saranno dei distanziatori sul pavimento. La cosa fondamentale è che non ci saranno più le visite guidate: chi entra sarà dotato di un depliant, una guida cartacea anche in inglese e francese, che resterà poi come ricordo a ciascuno. Intendiamo comunque riaprire con grosse novità: inaugureremo simbolicamente la sala Arti del Barocco, completamente rinnovata dal punto di vista dell’allestimento e dell’illuminazione, che vanta la provenienza di parte delle opere direttamente dalle collezioni del presidente benemerito Ometto, e sempre il 18 inaugureremo la mostra Novecento in cortile, un’esposizioni di scultura di grandi autori del secolo scorso, a partire da Giò Pomodoro. 

Più in generale, come ha percepito l’impatto dell’emergenza sanitaria, e la crisi che ne è conseguita, sul settore delle arti decorative? E come salvaguardarlo, nella fase di ripartenza?

Il nostro è un museo di nicchia già in tempi ordinari. In tempi straordinari come quello appena trascorso, ci rendiamo conto che la priorità di tanti non sia di venire a visitarci. Tuttavia la riapertura con nuovi spazi espositivi vuole essere proprio un invito a riscoprire le collezioni all’interno di un ambiente inedito. La nostra priorità, in questi mesi, è stata portare avanti il lavoro sospeso di schedatura e archiviazione, e, soprattutto salvaguardare i posti di lavoro. È stato un meraviglioso gioco di squadra, che a 360 gradi ha coinvolto diversi ruoli della Fondazione, in primis il cda sempre presente in conference call con coloro hanno continuato a operare in loco per motivi conservativi e di vigilanza. Insomma, ci siamo impegnati per mantenere alta la visibilità conquistata in questi anni, soprattutto attraverso una campagna social che ci ha premiato dello sforzo compiuto. 

II vostro museo ha saputo unire la tradizione e l’innovazione sperimentando, negli ultimi due mesi, diversi format online per intercettare il pubblico da casa. Può farci un bilancio di questa esperienza? Avete avvertito un ampliamento dell’interesse per le vostre collezioni e la vostra storia anche tra i non addetti ai lavori?

Cito Il gattopardo: casa vuota è casa persa. Il messaggio da trasmettere era che, nonostante fossimo chiuso, il museo avrebbe continuato a esserci. Con la campagna social abbiamo avuto approfondire certi temi legati alla storia di Pietro Accorsi per ribadirne la specificità. La storia di colui che era definito “il principe degli antiquari” e che ha conosciuto alcune tra le più importanti personalità del ventesimo secolo, da Umberto II di Savoia a Henry Ford, da Luigi Einaudi a Gina Lollobrigida. Abbiamo quindi dato spazio ai tesori del nostro archivio storico-fotografico, raccontando un mondo che non c’è più, la Torino prima dei Savoia e poi dei grandi capitani d’industria, che hanno avuto ricoperto anche un ruolo centrale nella storia del collezionismo del ventesimo secolo. Per questa città sono passati grandi capolavori, e dietro a ognuno c’è la storia di un personaggio, dai principi agli artigiani che hanno lavorato per Accorsi in questi cortili, definiti simpaticamente dai torinesi dell’epoca “i cortili dei miracoli”, dove le opere venivano magistralmente restaurate per essere adattate ai gusti dei grandi collezionisti

Come pensate di implementare l’attività con le scuole?

Stiamo pensando a una didattica a distanza. I social in questi mesi ci hanno permesso di mettere in campo una sinergia da remoto e vorremmo allestire dei tour virtuali. In quale modalità è ancora precoce dirlo perché a riapertura  delle scuole è un tema ormai quotidiano, ed è tutto da valutare. L’ufficio didattica della Fondazione è efficientissimo, le mie colleghe si stanno attivando e spero sia possibile ripartire già da quest’estate con i centri estivi ,per raccontare cos’è l’arte decorativa ai ragazzi. 

Nel 2019 il Museo Accorsi-Ometto ha compiuto i suoi primi vent’anni di vita. Uno dei pilastri della vostra politica culturale è da sempre la valorizzazione della bellezza: come declinarla, in un momento storico così complesso a livello sociale? 

La bellezza dev’essere accessibile a tutti. La grande fortuna dei social è che, attraverso un canale di comunicazione gratuito, si può raggiungere l’interessato e l’appassionato, ma anche chi non ne sa assolutamente nulla, di arte decorativa. È una lettura orizzontale e trasversale, indirizzata a diverse figure e diversi livelli della società. 

Manuela Marascio