Attualità - 11 ottobre 2020, 11:25

Generazione Hikikomori: un fenomeno che ha origine nei paesi del sol levante e che coinvolge molti adolescenti

Certi adolescenti sono stati costretti a isolarsi oltremodo, altri invece, già isolati volontariamente da una società che non li vedeva protagonisti, si sono creati uno scenario tutto loro. L'analisi di Stefano Mormile

Il difficile anno che ci troviamo a vivere assume un peso diverso rispetto alle età (anagrafiche) che direttamente coinvolge. Sicuramente in Italia, la chiusura delle scuole dal mese di febbraio fino alla riapertura del mese di settembre ha frenato in gran parte la vita e la socialità di tutti, in particolar modo dei ragazzi adolescenti che nella scuola hanno il loro mondo. A questo proposito, proprio a causa delle ampie restrizioni e delle limitazioni, certi adolescenti sono stati costretti a isolarsi oltremodo, altri invece, già isolati volontariamente da una società che non li vedeva protagonisti, si sono creati uno scenario tutto loro. Questi ultimi rientrano in un fenomeno che ha origine nei paesi del sol levante ed è studiato con il nome di Hikikomori.

Col termine giapponese Hikikomori si intendono storie di ragazzi in età adolescenziale – soprattutto di sesso maschile – che hanno una vita interrotta in una società nella quale non si inseriscono e che non sentono e non percepiscono a loro immagine.

La dottoressa Noemi Vergnasco, studiosa del tema Hikikomori intervistata oggi sull’argomento, è stata coordinata nella sua ricerca dalla Prof.ssa Maria Adelaide Gallina (ricercatrice presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell'educazione dell’Università di Torino), e ci racconta che questi ragazzi vivono in isolamento per giorni, mesi, anni, addirittura vite intere. Essi occupano il tempo dentro casa e dedicandosi principalmente ad attività virtuali come i videogiochi online dove creano reti e giocano con altri coetanei spesso anche loro hikikomori; leggono libri, bevono birra o shochu (tipica bevanda alcolica giapponese) e normalmente si alimentano mangiando cibo scadente ordinato nei fast food, che, nemmeno a dirlo, viene loro consegnato direttamente a casa.

Adottando a lungo questo stile di vita, riconoscono di avere un problema ma scelgono volontariamente di non chiedere aiuto e di non voler essere seguiti da nessun terapeuta: affidarsi a uno specialista implicherebbe uscire di casa, affrontare un mondo nel quale non si percepiscono accolti ed integrati e che più di tutto fa loro tanta paura. La maggior parte di questi ragazzi quindi – continua la dottoressa Vergnasco – vive isolato senza contatti esterni ed esclusivamente con la propria famiglia se presente; è molto frequente che malgrado non emerga il fenomeno dell’isolamento, i ragazzi ritirati, arrabbiati, frustrati possano aggredirie fisicamente i propri genitori: ciò è capitato in Giappone, dove episodi di questo genere sono stati registrati.

Il fenomeno Hikikomori, come conosciuto in Giappone, rileva al suo interno anche il grave problema della violenza domestica. I medici che visitano questi ragazzi problematici diagnosticano spesso altre patologie a questi ragazzi che vivono isolati e di fronte a soggetti così ansiosi per la loro vita prescrivono loro dei calmanti – nonostante siano soggetti del tutto sani e non bisognosi di farmaci – per evitare l’insorgere di eventi sinistri ai danni della famiglia, dei genitori.

Riportando il fenomeno sul territorio italiano, osserviamo che vi sono stati dei tentativi di cura ovvero di presa in carico di questi ragazzi. Presso il Policlinico Gemelli in Roma diretto dallo psichiatra Tononi, già nell’anno 2009, si prendevano in carico circa 1500 nuclei familiari, un numero davvero elevato. Tononi spiega che si è passati dall’idea di guardare a questi ragazzi come dipendenti da internet a ragazzi portatori invece di una psicopatologia web mediata, dove il sintomo non è l’iperconnessione ovvero l’adesione alla vita normale, ma è invece il pieno ritiro sociale.
Questi Hikikomori vivono al di qua dello schermo digitale. Lo schermo rappresenta una barriera contro stimoli emotivi eccessivi e insopportabili, e se usano una webcam per farsi vedere, non arrossiscono. La webcam assume infatti il ruolo di filtro. Quando si comunica con qualcuno attraverso social e webacm, la tensione che provano questi ragazzi non diventa comunicazione all’altro poichè non passa per il corpo.

A livello comunicativo gli Hikikomori utilizzano unicamente linguaggio non verbale scritto via chat, e-mail o blog sconnettendo totalmente l’aspetto verbale e para-verbale, quanto mai importante e fondamentale nella comunicazione umana. Se dal punto di vista informatico questi ragazzi sono nativi digitali, ovvero hanno una padronanza spiccata dal punto di vista informatico, non sono però allo stesso modo padroni delle loro emozioni dal punto di vista comunicativo. A livello di comunicativo questi ragazzi sembrano essere privi di emozione, ma in vero l’esperienza emotiva è presente solo con la grande difficoltà della sua espressione.

Il ritiro sociale degli Hikikomori è innescato perché essi non reggono i contatti emotivi dal vivo. Il peso delle emozioni nei vissuti dei bambini e degli adolescenti è ben diverso da quello degli adulti.

Gli adolescenti e i bambini possono andare letteralmente a pezzi, nei casi dove è presente una fragilità costituzionale. Il gaming compulsivo ha dunque la funzione di mantenere in piedi l’unico equilibrio possibile. In questo senso il gioco diventa un detonatore della rabbia che essi hanno al loro interno. È qualcosa di indispensabile. L’utilizzo della rete internet possiede un effetto catartico ed è importante per il ragazzo Hikikomori perché è l’unico legame che mantiene con il mondo esterno.

La dottoressa Vergnasco – laconica e oggettiva – conclude affermando che la battaglia per risocializzare questi ragazzi, nonostante appaia ardua e persa in partenza è una necessità, soprattutto alla luce dei giorni difficili che stiamo vivendo e che ancora ci attendono. È fondamentale che gli affetti positivi della vita di tutti possono fornire aiuto anche al ragazzo Hikikomori: i soggetti del suo nucleo familiare dovrebbero impegnarsi maggiormente, coinvolgerlo, aiutarlo a scoprire nuovi punti di contatto; tutto ciò, pian piano, permetterà una graduale risocializzazione ovvero il reintegro dell’adolescente in società.

redazione