Sport - 25 novembre 2020, 15:10

Josè Bastos, eterno fanciullo

Si è spento l'ultimo dei giocatori del Benfica che affrontarono il Grande Torino il 3 maggio 1949 a Lisbona. Non scese in campo quel giorno, era il portiere di riserva, adesso anche lui è salito lassù, assieme agli Immortali

La prima volta che ci incontrammo, maggio 2014, Josè Bastos era venuto nostro ospite a Torino, per celebrare i 65 anni da Superga. Lui infatti era lì, all’Estadio Nacional do Jamor, a Lisbona, il 3 maggio del 1949, quando il Grande Torino era volato in Portogallo a rendere omaggio a Francisco Ferreira. Come portiere di riserva, non era sceso in campo, ma aveva partecipato alla giornata di festa e le sue mani avevano stretto quelle degli Immortali per l’ultima volta.

Quando arrivò, mi fece dono di un orologio da polso, dicendomi che era d’oro. Luís Lapão, direttore del museo del Benfica, sorrise e mi disse, in inglese in modo da non farsi capire da Josè, che l’orologio non solo non era d’oro, ma era un oggetto da pochi soldi, che Bastos aveva comprato in grandi quantità, perché gli piaceva replicare questo siparietto con tutti i suoi nuovi amici. Un ingresso in scena da vera superstar!

Una persona che definire speciale sarebbe riduttivo. Dal 1949 al 1961 a difendere la porta delle Aquile, con tre campionati, cinque coppe di Portogallo ed una Coppa Latina (antesignana dell’odierna Champions) nel Palmares.

Ma l’episodio che lo ha fatto diventare il mio idolo, per il mio modo scanzonato di intendere la vita, accadde durante una tournée dei “vermelhos” in Brasile negli anni ‘50. Dopo la prima partita, Josè misteriosamente scomparve, per ricomparire altrettanto magicamente il giorno della partenza della squadra per il ritorno in patria.

Ai compagni allibiti, candidamente confessa di essere stato “sequestrato” da una avvenente nobildonna brasiliana, con cui aveva trascorso giorni indimenticabili e notti focose. Un mito!

Un grande giocatore, che in molto genio sapeva lasciar splendere lampi di sregolatezza, degni di un gran mattatore, che sapeva dare alla vita i suoi valori più profondi.

Il nostro legame si rafforzò a Lisbona, quando ci incontrammo per la gara unica dell’Eusebio Cup 2016, vista insieme dal palco presidenziale, e poi nuovamente a Torino, lo scorso anno, per i 70 anni da Superga.

Stavolta, fui io ad anticiparlo ed improvvisare il siparietto, indossando al polso quell’orologio “d’oro” che mi aveva regalato cinque anni prima, vantandolo come il dono prezioso di un caro amico portoghese. Ridendo mise la mano nella tasca della sua giacca e ne estrasse un altro esemplare, perfettamente identico a quello che avevo al polso, probabilmente facente parte dello stesso stock, che si apprestava a regalarmi, con la solita storiella del dono prezioso in allegato.

Nei giorni trascorsi a Torino, fu il fulcro dell’interesse di tutti ed a tutti generosamente si concesse, con la stessa disarmante semplicità d’animo dell’eterno fanciullo che era.

Quando ci lasciammo, presagendo che sarebbe stata l’ultima volta, considerando la sua età, ci abbracciammo con gli occhi lucidi. Gli dissi: “Mi raccomando, riguardati. C’è un solo Josè Bastos, ed è prezioso”.

Stamattina, quando il messaggio di Luis Lapão mi ha annunciato la sua scomparsa, non mi vergogno di ammettere che ho pianto. Con lui se n’è andato un pezzo di storia comune di Benfica e Torino, un pezzo di cuore, una persona di famiglia.

Chissà se quando arriverai lassù avrai ancora trentuno orologi “d’oro” da regalare agli Immortali? Ciao Josè, salutaceli tutti.

Domenico Beccaria