Falce, al secolo Alberto Falcetta, si definisce rapper agronomo perché parla nei suoi brani di agricoltura, di autoproduzione e di sovranità alimentare. Ha all’attivo l'Ep "Five Rules" e tre dischi: "Fase Anale", "Quercia” e "Voyager". Proprio questa settimana è uscito il singolo "Doppia H" estratto da "Voyager", un disco che racconta il viaggio di un ragazzo nel suo diventare uomo.
Come Alberto Falcetta è diventato Falce?
"È successo all'età di 19 anni, a cavallo tra le superiori e l'università. Ho avuto un periodo di crisi riguardo al futuro, come tutti. Ai tempi mi ero iscritto alla Facoltà di Agraria, ma mollai dopo pochi mesi. Non riuscivo a studiare. Così, mi cercai un lavoro. Nel tempo libero, iniziai a scrivere rime perché semplicemente realizzai che pur ascoltando rap dalle elementari, non mi era mai passato per la mente di provare a farlo. "Perché no?", mi sono chiesto. Così iniziai, come tutti per sfogo e per esorcizzare mali invisibili. Ma dopo mesi passati a scrivere di notte, nascondendo la cosa anche a mia madre, capii che mancava uno scopo. Un'identità. Fu allora che me ne uscii con questa idea: Io sarò Falce, il rapper agronomo che parla di agricoltura, di autoproduzione, che si batte per la sovranità alimentare. È andata proprio così. Sicuramente mi sono complicato la vita, perché da allora (2016) sono state più le domande che le risposte. Potevo limitarmi a raccontare le difficoltà della vita nel ghetto cumianese, tra un'edizione del 'camminando mangiando' e una festa della birra, o rappare del mio commercio illegale di miele autoprodotto. Ma grazie a questa presa di posizione, ripresi l'università, iniziai a registrare le mie canzoni e mi laureai in agraria (quest'anno, ad aprile). Tre album e un ep dopo, eccomi qua".
Cosa ispira la scrittura dei tuoi testi?
"Inizialmente era la volontà di capirmi. Gran parte dei primi testi erano delle autopsicoanalisi. Crescendo, ho imparato a prendere ispirazione da tutto. Le conversazioni in particolare sono il mio pane. La somma di mesi di conversazioni spesso porta alla scrittura di uno o più testi. Altre volte invece l'ispirazione è come la diarrea. Prende nei luoghi più inaspettati".
Hai pubblicato quest’anno il disco “Voyager”, che viaggio ci racconta?
"Il viaggio di un ragazzo che diventa uomo. I brani sono un po' le pietre del sentiero. C'è la paura, la rabbia, l'odio, la lussuria, la fiducia, l'amore e tante altre cose. A dispetto del ruolo molto politico che ho deciso di ritagliarmi, questo disco parla della mia umanità. Spero che ascoltandolo ci si possa riconoscere anche un po' della propria".
Il 10 dicembre è uscito il tuo nuovo singolo, "Doppia H", parlacene.
"Il brano vuole essere un tributo musicale al rugby e all'hip hop. Il titolo ha appunto lo scopo di rappresentare le iniziali di hip hop e contemporaneamente le porte del campo da rugby, a forma di H. Questo perché oltre che rapper, sono stato anche giocatore di rugby al CUS Ad Maiora Rugby, dal 2012 al 2016".
Hai fondato insieme al producer Alessandro Petacca il collettivo Gym Studio Music, parlaci di come si lavora dentro un collettivo.
"È sicuramente più difficile: più teste, più idee, più discussioni. L'ultimo anno è stato una prova del fuoco per noi. Abbiamo capito che, alla fine, chi resta in un collettivo lo fa perché ci crede e perché vuole dare il suo contributo. Abbiamo imparato a diffidare di chi ci vede delle occasioni per prendere. Il collettivo funziona come una squadra di rugby: non è importante chi fa meta, l'importante è che si faccia, perché il punto va alla squadra. E non è mai frutto dello scatto di un singolo, ma di uno sforzo condiviso".
La vostra Torino musicale e non.
"Il mio rapporto con Torino credo sia quello che ogni ragazzo di provincia ha con la città capoluogo. Solo che questa è Torino (battuta). Per spiegarmi meglio, non ne siamo molto attratti. La frequentiamo anche poco, a livello musicale. Sarà per la poca propensione dei locali torinesi a far suonare artisti emergenti, almeno quando si poteva. Abbiamo sempre trovato pochi proprietari disposti a darci delle opportunità, ma speriamo che con il normalizzarsi della situazione sanitaria, le cose cambino. A livello umano, invece, la situazione è diversa. Parlo per me, in quanto nativo di Mirafiori sud. Ho tanti ricordi di infanzia legati a quel quartiere e, da adolescente, se ho potuto ascoltare ottimi CD e vestirmi da rapper senza più dover rubare i pantaloni a mio padre, lo devo ad ATPC, storico negozio urban in via Pietro Micca. Ho passato tanti sabato pomeriggio in Torino centro. La amo come una vecchia zia. Come un'amica di infanzia. Ma non ci vivrei mai, sono troppo abituato al silenzio di Cumiana".
Teatri e cinema chiusi, la musica confinata alle cuffie. Come vivi da artista questo difficile momento per la musica?
"All'inizio del secondo lockdown mi è venuto il fuoco di sant'Antonio. In piena faccia. Fai te. Non voglio mentire, l'ho vissuta come una tragedia. E non solo in quanto artista, ma in quanto artista emergente. A fine 2019 la GYM Studio Music era la prima etichetta del pinerolese a entrare in contatto con la Thaurus Publishing ed eravamo nel pieno del viaggio "quest'anno è il mio anno", così caro al mondo del rap. Ma è andata diversamente. A parte gli scherzi, è stata dura. Le realtà neonate come la nostra devono fare concerti per poter crescere, e questo sembra il periodo peggiore per affacciarsi al mercato musicale".
"A ogni modo, posso affermare con una certa tranquillità che la GSM sia stata tra le realtà più produttive del 2020. Abbiamo ingrossato il nostro catalogo di 54 nuove tracce, e continueremo a lavorare, per farci trovare pronti a crisi finita. Non possiamo fare altro che rafforzarci come struttura e cercare canali di diffusione della nostra musica che non abbiano risentito di questa crisi, come il sync licensing".
Speriamo bene.