Erano finite da poco le vacanze natalizie, il presepe era stato smontato e messo al sicuro in cantina, mentre un rametto di vischio restava ancora appeso al lampadario dell'ingresso.
Io ero appena tornato da scuola e, dopo aver mangiato di corsa, mi ero precipitato in cameretta a giocare con uno dei doni che Gesù Bambino mi aveva lasciato quell'anno, una macchinina telecomandata che era una vera bomba!
"Vai a fare i compiti!" mi aveva inseguito mia madre, entrando in camera con le mani sui fianchi e l'aspetto minaccioso. Solo a quel punto avevo alzato lo sguardo e l'avevo visto, l'avevamo visto entrambi. Il cielo si era fatto bianco. Io lasciai perdere la macchinina e appiccicai la faccia al vetro della finestra. Mamma mi fu subito accanto, “È arrivata anche qui" la sentii dire.
Appoggiai il mento al davanzale e, ammirato, osservai i fiocchi di neve che cadevano a terra, prima radi poi sempre più fitti, prima piccoli spilli poi larghi come i fiocchi di cotone che avevamo messo sulla capanna del bambinello.
Quel pomeriggio i compiti me li scordati completamente e anche la mia mamma decise di non darvi troppo peso, che "tanto domani sarà tutto chiuso" disse, girando la cioccolata nel tegamino fino a farla diventare densa come un sogno.
La neve continuò a scendere e, nel giro di poco tempo, coprì tutto, strade, marciapiedi, macchine, tetti, ad accumularsi un centimetro dopo un centimetro dopo un centimetro. E, fu solo quando ormai si era fatto buio e i lampioni si erano accesi, che il tempo si calmò. Pochi minuti dopo mio padre tornò dal lavoro con le scarpe zuppe e i capelli bianchi come se fosse diventato improvvisamente un vecchietto.
"Ehi tu!" Disse indicandomi. "Vestiti che ti porto sotto!"
"Ma non sei stanco?" gli chiese mia madre avvolgendo in un enorme asciugamano.
"Non importa, non si può lasciarsi sfuggire una neve così, Marco se la ricorderà finché campa" le rispose e la baciò sotto il vischio. Era stato lui a non voler staccare il rametto dopo il 6 gennaio.
Mamma mi mise due maglioni, la giacca a vento, un cappello di lana che pizzicava, un paio di guanti pesanti del papà e, ai piedi, i dopo sci d’astronauta che all’epoca portavamo tutti e che lei mi aveva comprato durante i saldi dell’anno prima. "Ti vanno ancora bene?" mi chiese.
"Sì", mentii accartocciando le dita il più possibile. Avrei fatto di tutto per seguire papà in cortile. Nulla avrebbe potuto fermarmi, neanche un mal di piedi che sembrava di avere il cane della zia attaccato agli alluci.
Quando eravamo già sotto, mamma si affacciò al balcone, "Prendete questa" disse e ci tirò giù una grossa carota. “Brava amore!” disse il papà mandandole un bacio con lo schiocco.
Papà, io, il nostro vicino Franco e sua figlia Luisa, costruimmo il più bel pupazzo di neve del mondo. Alto e sorridente con un nasone arancione che l'avrebbero visto perfino gli aerei che andavano a Caselle.
Il giorno dopo la scuola, come aveva previsto mamma, rimase chiusa. I miei amichetti ed io passammo la giornata a scendere giù da una collinetta sopra a degli slittini improvvisati. Tornai a casa con la febbre e i pantaloni bucati. Ma, a distanza di anni, posso ancora dire di non essermi mai divertito così tanto in vita mia come in quei due giorni. Proprio come aveva previsto papà, quella neve non l'avrei mai più dimenticata.
L’inverno del 1985 nevicò moltissimo, in particolare a partire dal 13 gennaio. In alcune città, come a Milano, si raggiunse un vero e proprio record. Anche se non fu lo stesso, anche a Torino fu una nevicata comunque memorabile. Tutti coloro che sono stati bambini in quegli anni se la ricordano ancora. Ed in occasione di questo anniversario così vicino che abbiamo deciso di dedicare un piccolo racconto all’evento, i ricordi di un bambino immaginario che potrebbe essere ognuno di noi.