Foga Klan è una crew rap nata negli anni 2000 tutt’oggi attiva nonostante i quasi vent’anni passati dagli inizi e i cambiamenti di formazione. La voglia di esprimere e descrivere la realtà trasforma questa in barre che si susseguono insieme a ritmi elettronici ed indiani, come nel loro ultimo disco “Black Bombay”. Anche Torino è protagonista delle rime del Foga Klan, una “Torino grigia” tra cemento e nuvole miste a smog. Un amarcord di traumi, musica e ricordi. Il disco è stato prodotto da Riparia 72 prod., realtà nata come collettivo e studio di registrazione che si è trasformato negli anni in etichetta discografica specializzata nella stampa di vinili.
Come è nato il progetto Foga Klan e perché si chiama così?
Jama e Rus: Foga Klan nasce a metà degli anni 2000, quando ancora la maggior parte di chi si avvicinava all’Hip Hop lo faceva per pura passione senza essere influenzato dalla moda corrente. Questo è stato uno dei motivi che ci ha fatto unire, oltre naturalmente al fatto di essere amici che condividono la stessa passione sia per la musica che per il writing. Il motivo del nome, beh, si può capire da solo…Foga Klan, perché è la foga che abbiamo dentro che ci spinge sempre oltre.
Cosa ispira la scrittura dei vostri testi?
Rus: Naturalmente ognuno di noi è stimolato ed ispirato da cose diverse, ed in generale le ispirazioni sono diverse in base ai momenti e gli umori che uno vive.
Di sicuro c’è una voglia di esprimersi e di descrivere quello che ci circonda, ed allo stesso tempo una passione per le parole, le rime e gli incastri. Per quanto mi riguarda l’alcol fa parte del mio processo creativo, ispirandomi nella scrittura dei miei testi.
Jama: Nel mondo succedono cose allucinanti e questo da ispirazione infinita. Esprimo il mio senso di assurdo. Nel futuro vorrei scrivere roba più antisociale possibile. C’è bisogno di piu’ roba antisociale. E poi la gente giudica e si lamenta continuamente ed è divertente fargli notare quanto lo faccia (soprattutto a me stesso).
Foga Klan nasce nei primi anni 2000, cosa è cambiato in quasi 20 anni di attività?
Rus e Jama: Un po’ tutto. Principalmente la nostra età, con tutto quello che ne consegue, compreso il restringimento della crew. Cosa altrettanto fondamentale è il cambio/evoluzione della scena Hip Hop, ma soprattutto dell’esplosione del Rap a livello mainstream, che di sicuro ha fatto cambiare le cose, nel bene o nel male, rispetto a quando noi eravamo ragazzini, e che naturalmente si riflette anche nella scena underground.
Cosa è rimasto della scena rap che vi ha ispirato?
Rus: Ricordo qualche anno fa, ad un Age Of Aquarius di Maurizio Next One, quando lui disse più o meno così: “il rap è un’espressione dell’Hip Hop e quest’ultimo è un movimento in continua evoluzione”, quindi è naturale ed anche buono che ci siano cambiamenti ed evoluzioni da quando abbiamo iniziato noi. Paradossalmente però ora il Rap è conosciuto anche in Italia a livello nazionale. Basta guardare le classifiche dominate dal nostro genere, influenzando anche altri campi, come la moda e lo sport. Ovviamente però essendo di tendenza si va a perdere quello che era un po’ il motivo che ci avvicinava quando noi eravamo ragazzini. Mi riferisco alla voglia di sentirsi diverso e di contribuire ad una cultura oltre che alla passione che ti spingeva a trovarti alle jam o in block party. Situazioni dove si creava proprio una specie di piccola famiglia, anche solo essere presenti era fondamentale, tra noi Mc veniva questa cosa veniva chiamata “Represent”.
Jama: Un sacco di dischi fantastici. Più un’attitudine fatta di collaborazione, sentimento e piedi per terra.
È uscito da poco il disco “Black Bombay”, cosa ci racconta?
Rus: La cosa principale che lega le tracce è l’ambiente indiano, o in generale orientale, che i beat danno al disco. Da qui il titolo, che oltre a ricordare la città, è un miscuglio psicoattivo che si usava in India, citato in un famoso libro dal titolo “Flash. Katmandu il grande viaggio”. Da qui prendiamo sia il titolo dell’album, sia l’ispirazione per la traccia “Kathmandu”, fatta assieme a Sab Sista, leggenda del rap anni ’90. Oltre a questo stampo principale, è un disco molto variegato, sia dal punto di vista dei suoni, che da quello dei testi. Per esempio nella traccia “Giovane e bello” raccontiamo l’esaltazione dei vent’anni, mentre in “One bourbon, one scotch, one beer” è un’evoluzione, nelle tre strofe, di una sbronza, passando dallo stato lucido a quello di ubriaco (oltre ad essere anche questa una citazione, a John Lee Hooker, importantissimo Bluesman).
Jama: “Black Bombay” è prima di tutto un viaggio in ciò che ci piglia bene. Ci sono i CCCP, un assolo di Van Halen, mimmo tanta roba, della diserzione ed un po’ di nepalese. Forse il tema di fondo è che l’importante è andar a star bene con se stessi e con il mondo. Questo tema è affrontato già dall’intro “Pregio” e in altre canzoni come “In tempo” che parla di come gestiamo il tempo nella vita quotidiana o “I’m Sorry” che parla delle scuse che (ci) diciamo tutti i giorni. Sullo sfondo dei testi ci sono le rotture di cazzo della vita quotidiana. Poi raccontiamo Torino, ovviamente.
Parte della crew fa parte dell’etichetta RIPARIA 72 PROD., che ha anche prodotto il vostro disco. Parliamo un po’ di autoproduzione, pro e contro?
Rus: Dal 2012, anno in cui abbiamo fondato l’etichetta grazie all’intesa con Dj Matter, ad oggi, le soddisfazioni sono state molte. Oltre ad aver suonato in tutt’Italia, abbiamo prodotto ben 3 uscite in vinile, per citare “La Forza del Mulino” e “Papilloma Virus” del nostro artista in etichetta Papilla Bronx.
Rus e Jama: Il privilegio dell’autoproduzione a nostro avviso è la possibilità di seguire le proprie creazioni dall’inizio alla fine seguendo i propri criteri ed emozioni. Naturalmente lo svantaggio è quello economico, che in periodi come questo, non è da sottovalutare. Da considerare è anche il fatto che bisogna essere bravi non solo nella scrittura e composizione di tracce ma anche nel modo di proporle al pubblico. Poi la parte di promozione e tutto ciò che ne consegue, competere ad alti livelli diventa sempre più difficile perché il livello continua ad alzarsi nel confezionamento e vendita del prodotto. Noi siamo diversi, ci spinge la voglia di esprimere ciò che abbiamo vissuto e visto.
La vostra Torino musicale e non.
Rus: Nella nostra musica raccontiamo molto la nostra Torino, è sempre stato un nostro stampo. In particolare in questo disco ci sono due tracce che descrivono bene Torino dal nostro punto di vista. In base a quello che abbiamo vissuto, “To come Ny” fatta assieme a Shaki, altra leggenda del rap underground torinese, e “Torino grigia”. Per citare “Torino grigia”, che più di tutte racconta la nostra città “i tempi della Golden, il Santa Giulia spot, le rime dentro ai cerchi e i punkabbestia negli squat, gli alcolizzati, i disperati, i tossici, i fieri B-Boy che ballan sotto i portici”.
Jama: La varietà della gente che si trova a Torino e la sua atmosfera particolare la rende un luogo creativo. Purtroppo i luoghi dove fare e ascoltare musica come si deve a prezzi popolari diminuiscono di anno in anno, da ben prima del covid. Per fortuna c’è sempre stata una realtà fatta di jam nei parchi cittadini, feste nei boschi, concerti in posti occupati e freestyle in piazza. La musica si fa in un modo o nell’altro, ed in città c’è chi la sa fare per bene. Ascoltatevi Roy Zen o Matteo Tura per esempio.
Teatri e cinema chiusi, la musica confinata alle cuffie. Come vivete da artisti questo difficile momento per la musica?
Rus e Jama: Questo è un momento storico per la musica globale, l’epidemia ha lasciato tutti sbalorditi. Fortunatamente siamo in un’epoca dove la musica si muove in streaming ed online, anche i vinili continuano ad essere richiesti. Però i live, il contatto col nostro pubblico, l’adrenalina di sputare fuoco sopra un palco ovviamente mancano a tutti a noi. L’autoproduzione si alimenta proprio grazie agli spettacoli e le entrate sia per le copie fisiche delle nostre distro, sia per gli show ci hanno dato un bel colpo, ma di sicuro non sarà questo che ci ammazzerà. Come dicevano gli EPMD “Unfinished Business”.