Cultura e spettacoli | 28 marzo 2021, 08:17

Sordi di cuore: alla scoperta della lingua dei segni

Alla scoperta della Lingua dei Segni. E di una poesia fatta di espressività ed emozione

"Rimescolare le carte" - scatto di Adrian Asavetei (Instagram: adry_style_ph)

"Rimescolare le carte" - scatto di Adrian Asavetei (Instagram: adry_style_ph)

Carissimi #poetrylovers, come da abitudine comincio l'articolo n. 19 della rubrica "E Poe...sia" (incredibile, non posso crederci!), dandovi il buongiorno. E l'augurio di una domenica profumata: tra i fiori di un prato, gli ingredienti dei vostri piatti preferiti o la fragranza della pelle che più amate. Una domenica primaverile, insomma, sensoriale.

Ah, i sensi... Come recita una mia poesia, "son tutti belli, son tutti svegli".

C'è chi dice siano cinque. Chi è convinto sia il sesto a dettare davvero legge nella vita; ancora, chi considera la mancanza di uno di essi fonte d'incolmabile di distanza, un limite invalicabile.

Paura? Pregiudizio? Ignoranza? Sì, sì e sì.

Non posso far molto per i primi due, desolata. È un lavoro interiore che richiede tempo e impegno, il primo oggettivo e il secondo personale. Ma sradicare l'ignoranza (perlomeno attenuarla) è forse l'unica cosa in mio potere, per quanto piccolo sia.

D'altronde ed è fatto risaputo, il vero deficit è da sempre quello dell'informazione. E senza conoscenza, per effetto domino, nascono pregiudizi e paure.

Dunque, cari amici e affezionati lettori, lanciamo insieme un nuovo "format"; da oggi in poi, assicuriamoci di non subire più alcun argomento. Che si tratti di politica, salute o lavoro a maglia, proviamo a difendere il diritto ad avere un'opinione. A cambiarla o, ancor più soddisfacente, scoprirla. Non accontentiamoci di quello che sembra bastare alla maggioranza, non permettiamo a idee vaghe e confuse d'influenzare pensieri e comportamenti, rendendoci sospettosi. Siate curiosi! Pretendete dosi massicce di obiettività! Ricordate quei due mascalzoni, paura e pregiudizio? Soltanto noi possiamo nutrirli, soltanto noi affamarli a morte.

Detto ciò (se non faccio i miei soliti exploit non sono contenta, abbiate pazienza) e ritornando al discorso "cinque sensi", vorrei trasportare la riflessione appena conclusa nella vita reale, che le parole senza vita servono a poco.

Mi concentrerò su una difficoltà sociale, più che medica, con cui ho avuto a che fare da vicino: la sordità. E non parlo della perdita d'udito dovuta a vecchiaia, rave party assatanati o malattie degenerative. Mi riferisco a chi nel silenzio ci nasce o ci entra molto presto, in tenera età. E ci cresce, soprattutto.

Alcuni parlano di deficit. Altri di disabilità. Ma siamo sicuri "avere qualcosa in meno" sia sempre sinonimo di "peggiore"?

Scoprite insieme a me i motivi per cui, avvicinandomi alla comunità sorda, ho scoperto cosa significhi davvero vedere il bicchiere mezzo pieno.

Ma prima, un doveroso excursus nella storia e nell'evoluzione della comunità stessa.

Relegati per decenni all'improprio metodo delle Scuole Speciali, i sordi assistono al loro superamento in conseguenza della Legge n. 517 del 1977 sull'integrazione scolastica. Ripetiamo: 1977. Finalmente "liberi" di socializzare, non più obbligati in ambienti claustrofobici e privi di stimoli, viene permesso il loro ingresso all'interno del sistema scolastico pubblico; nel mondo, che proprio dall'educazione comincia, con le sue diversità, di cui si rendono presto simbolo e portavoce.

A proposito della Lingua dei Segni che, contrariamente a quanto si pensa, non è internazionale bensì nazionale (ogni stato adotta la propria), molti sono gli aspetti interessanti a cui ben poco spazio viene concesso.

Basti pensare che nel mondo occidentale il suo studio risale ad almeno 2000 anni fa. Non solo, negli scritti cinesi i riferimenti a questo linguaggio complesso e articolato (che nulla ha da invidiare ai codici fonetici), arretrano a periodi ancor più remoti. Il primo testo inglese a parlarne è l’opera di Jon Bulwer intitolata “Chirologia: or the Natural language of the Hand” (1644).

La Lingua dei Segni è stata ed è tuttora di fondamentale importanza per la trasmissione orale e l’evoluzione della Cultura Sorda. In quanto tale, infatti, esiste un’identità comune che trova nel sistema linguistico il vettore perfetto per condividersi e diffondersi; in primis la Letteratura, espressa nella L.S. del paese o della regione, con tutto il suo bagaglio di storia, narrazioni, favole, leggende, fiabe, aneddoti, poesia, prosa, umorismo, musica, rituali denominativi, giochi e molto altro ancora. Credevate ci fossero differenze?

Tramite essa, ogni generazione passa alla successiva sapere, valori e orgoglio, rafforzandone il legame. La Letteratura dei Segni consiste quindi in una corposa e variopinta tradizione orale che può essere registrata su pellicola o "tradotta" in forma scritta, per chi desidera capire e apprezzare tale ricchezza. Giornali, riviste e libri, associazioni culturali e sportive hanno svolto finora un importante ruolo di supporto nell'integrazione della comunità.

Nonostante la strada da percorrere per la piena integrazione e la parità sia ancora lunga e tortuosa (vorremo mica mai smentirci?!), nonostante manchi per i docenti una formazione specifica e ancora non si adotti il metodo bilingue (permettendo così ai Sordi di tradurre nella propria Madrelingua dei Segni i termini di una seconda lingua -sonora- per loro "straniera"), nonostante le telecomunicazioni si basino ancora troppo sulla fonetica e vi sia una mostruosa inaccessibilità all'informazione (pensiamo a quanti pochi programmi televisivi affiancano un interprete), nonostante il Parlamento Europeo abbia riconosciuto soltanto nel 1988 la Lingua dei Segni un vero e proprio linguaggio e il diritto conseguente al suo utilizzo in sedi formali e informali, la comunità sorda percepisce se stessa con orgoglio e fierezza.

Sì, una minoranza culturale e linguistica ("culturale" perché aderente a tradizioni e storie indipendenti e "linguistica" perché parte di una società maggioritariamente udente) conscia delle proprie potenzialità, in nessun modo scalfita dalle intemperie della vita.

Indipendenza personale. Partecipazione. Abilitazione. Ecco gli obiettivi a lungo termine, perseguiti con la pazienza di una goccia sulla roccia, per parafrasare Lucrezio. Un orgoglio talmente sentito da aver creato una scissione di natura teorica nella comunità: chi non trova nella propria condizione di sordità alcun difetto da correggere e chi, invece, considera l'impianto cocleare come valida alternativa, sempre nel rispetto delle reciproche posizioni.

Esseri umani, lavoratori, artisti, figli abituati all'isolamento, all'ascolto (quello vero, mica il nostro), nella maggioranza dei casi nati in famiglie normoudenti. Estranei nel proprio contesto, almeno inizialmente, combattenti dei sensi, osservatori di prim'ordine. Tacciati negli anni di stranezza e permalosità, continuano a dimostrare il contrario, feriti ma non uccisi; difficile, tuttavia, senza nessuno che guardi nella loro direzione.

La mia esperienza, che sento e desidero portare alla vostra attenzione, amici, riguarda proprio questa visione distorta. Incuriosita e affascinata dall'elegante e discreta presenza della comunità sorda, dopo alcune ricerche, decido di seguire un corso di Lingua Italiana dei Segni (L.I.S) all'Istituto dei Sordi di Torino, una delle istituzioni territoriali più antiche ed efficienti, fondato dai Savoia all'inizio dell'800 (https://www.istitutosorditorino.org/).

In tutta sincerità, non sapevo bene cosa aspettarmi; ero intimidita e, inutile negarlo, influenzata dal maledetto "sentito dire". Ci capiremo? Come riusciranno a insegnare senza parlare? Ad oggi provo vergogna per aver avuto pensieri tanto stupidi, superficiali. Tuttavia, sono felice di aver desiderato scalfirla, quella superficie.

Cos'ho trovato o, meglio, cos'ha trovato me? Un mondo solo in apparenza silenzioso, vivo e vegeto, vitale, trascinante e puro. Occhi gioiosi e scevri d'ogni pregiudizio, d'ogni paura (ricordate?) sulle cose e sulle persone. Una comunità nella comunità, fatta di anime solidali e molto, molto affettuose. Espansive, assurdamente divertenti. Ho perso il conto di quante volte le nostre mani maldestre segnassero inconsapevoli nell'aria parolacce e ingiurie, riportate con dolcezza al giusto posto. Sorrisi, condivisione, nuove amicizie; i corsisti hanno la netta sensazione di appartenersi.

Riportando un quesito già espresso nell'articolo, siamo sicuri che "avere qualcosa in meno" (in base alla nostra limitatissima scala di valori, poi) sia sempre sinonimo di "peggiore"?

Vi siete mai chiesti se ad essere diversi non siamo proprio noi, ormai lontani anni luce da quello spirito di solidarietà e coerenza? Dalla pace di una comunità che si conosce e si ama?

A proposito, sapete che la Poesia in Lingua dei Segni è forse l'arte più coinvolgente e vera a cui ho assistito? E che i Sordi possiedono una cura dell'espressività e dell'emozione da riscrivere l'intero tomo della Letteratura mondiale?

Un assaggio di bellezza:

https://listube.it/favole-e-racconti/

https://www.youtube.com/watch?v=E9j5OGuTcIY

https://www.youtube.com/watch?v=jnL8-70Pi4o

----------------------------------------------------------------------------------------------

Questa volta faccio la presuntuosa e concedo a me stessa lo spazio poetico finale.

Dalla silloge "Clic" (L'Erudita Editore, 2020):

STOP

Stop
Con le mani prendo e batto,
batto il tempo;
con i denti mordo e sbatto,
sbatto contro.
Un tempo presente,
a tempo.

In tempo arriva, la battuta d’arresto.
E mi arresto.
Arretro.
Affondo, affranta, schermita dallo scoglio invadente.
Avanzo,
poi,
senza fare un solo passo.
Non è la mia realtà.
Un fischio lontano, fatto di sogni.
Lo vedo, li vedo, li voglio ingoiare.
Sì lo sento, sento quel fischio con occhi fermi;
sono ben aperti.
E ora?
Proprio allora, smetto l’elegante indugiare. Eterno indugiare
La battuta d’arresto è solo il punto di partenza.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Che i nostri occhi siano sempre "fermi, ben aperti" ed oggi il giorno in cui "smette l'eterno indugiare".

Non pensiamoci su, facciamolo!

Alla prossima

Johanna Poetessa

Leggi tutte le notizie di E POE...SIA! ›

Johanna Finocchiaro

Buongiorno, Good morning, Bonjour, Buenos Días, Namasté!
Sono Johanna. Classe 1990, nata a Torino, impiegata, appassionata di lingue straniere e poetessa. Già, poetessa.
Scrivo sin dalla tenera età (mi sono innamorata della poesia dal primo incontro, alle elementari) e leggo, leggo tanto, sempre e ovunque. La mia massima fonte d'ispirazione è l'arte: mi conquista la sua immediatezza, la forza comunicativa, la varietà di forme e concetti espressi, la chiarezza.
Viaggiando, ho compreso quanto il mondo sia dinamico. Mi ci sono adattata, pian piano, stravolgendo piani e idee. Oggi lavoro per un importante istituto bancario ma continuo a essere curiosa. E gioiosa. Faccio parte della corrente letteraria dei Poeti Emozionali e ho, all'attivo, la pubblicazione di tre libri: una silloge corale, un e-book e l'ultimo arrivato, “Clic” (L’Erudita Editore).

E POE...SIA!
Questa rubrica nasce sotto una buona stella o così mi piace pensare; si propone, con determinazione, di avvicinare il lettore a un genere letterario incompreso ma testardo: la poesia.
Perché no!? Perché non recuperarla dal cassetto, vestirla con abiti nuovi, freschi, darle una possibilità? La possibilità di emozionarci, semplicemente questo: riflettere, sentire qualcosa, qualsiasi cosa, con e grazie a Lei.
Allontaniamoci dall'impostazione scolastica e dall'analisi del testo, lasciando spazio, invece, all'analisi del SENSO. Senso che sta per ragione e sensazione insieme. Impariamo a cercare la curiosità, prima delle domande. Accendiamo il pensiero. Che dite, ci lanciamo nel viaggio? Al paracadute provvedo io! 

Prima Pagina|Archivio|Redazione|Invia un Comunicato Stampa|Pubblicità|Scrivi al Direttore|Premium