Cultura e spettacoli - 01 maggio 2021, 15:29

Marco Montagnini: "Scrivo canzoni per quietare la rabbia"

L'artista, di origine eporediese, ha all'attivo sei dischi e un libro

Marco Montagnini è un artista di origine eporediese

Marco Montagnini è un artista eporediese, eclettico e poliedrico, con un passato da busker. Ha all'attivo sei dischi, di cui uno con la sua band, e un libro. Il 18 marzo è uscito il suo ultimo lavoro intitolato Bequadro. In una società che altera, annichilisce, monitora e cataloga le persone sempre più, Montagnini immagina come sarebbe il mondo se tornassimo tutti, in un istante, al nostro stato naturale.
  

Qual è stato il primo contatto in musica di Marco Montagnini?

"Fin da piccolo mi piaceva emulare i personaggi che vedevo in televisione, o i cantanti che ascoltavo alla radio. Ero innamorato in particolare della musica anni 50-60. Ancora oggi, ammetto di essere attratto dal mondo del passato più che da quello del presente. Credo di avere la stessa sindrome che ha il personaggio di "Midnight in Paris". Non so per quanto tempo ruppi le scatole ai miei con "La bamba", "Be-bop-a-lula", Elvis & Co... il problema è che lo facevo con una chitarra giocattolo che aveva corde che suonavano note a caso. Fortunatamente poi passai a una chitarra vera, e alle medie frequentai un corso musicale per imparare a suonarla (non molto bene, il minimo indispensabile diciamo). Tra l'altro lì insegnavano chitarra classica, mentre io volevo fare il rock, quindi gli accordi li imparai poi da autodidatta, quando iniziai a suonare con i compagni di liceo".

Cosa ispira la scrittura dei suoi testi?

"Qualunque cosa. Magari anche questa intervista, o questa domanda in particolare. Una volta ebbi la sensazione di non avere più nulla da dire, poi però mi venne da scrivere subito una canzone sul fatto di non avere nulla da dire. Non sono uno di molte parole, mi piace quasi di più ascoltare, però l'arte è la mia valvola di sfogo per esternare al meglio quello che ho dentro e che si sedimenta, a volte nel cervello, altre volte nello stomaco, nelle budella. Nulla di organico eh, non temere".

Ha da poco pubblicato il disco Bequadro, che storia ci racconta?

"Il bequadro è un simbolo musicale che, anteposto a una nota, annulla tutte le alterazioni precedenti, riportandola al suo valore naturale. Ok, così non si capisce granché (soprattutto per chi non conosce la notazione musicale), però l'ho utilizzato come spunto per provare ad applicare quel concetto alla realtà. Cioè, immagina come sarebbe il mondo se tornassimo tutti al nostro stato naturale, soltanto: esseri umani. Sarebbe bello? Brutto? Utile? Inutile? Ognuno si può fare la sua idea. Ma poi cosa significa tornare a essere tutti semplicemente esseri umani? Beh, può voler dire tante cose, per esempio: considerarci tutti uguali, ma non soltanto a parole, tutti con lo stesso valore. Il problema è che poi vai a scuola e ti danno dei voti, vai a lavoro e contano i risultati. La competizione è ovunque. E poi potrebbe voler dire eliminare le sovrastrutture che abbiamo, e magari non avere dei ruoli, delle gerarchie. Ma anche volendo, saremmo mai in grado di farlo? Anziché cittadini, esseri umani. Qualche giorno fa c'è stata la giornata della Terra, giusto? E quindi anche tornare alle proprie radici, togliere il superfluo... poi ovvio che nessuno ha la bacchetta magica, però è bello ogni tanto fermarsi e riflettere, ragionare, o anche solo analizzare dei pensieri, delle idee. Io lo faccio scrivendo canzoni, ma ognuno ha il suo modo (ed è bello così)".

I suoi precedenti dischi sono molto vari, passa dallo strumentale al rock e al lo-fi fino al pop come nell’ultimo lavoro. Ci racconta come mai ha questa anima musicale poliedrica?

"Ho sempre ascoltato musica di qualunque genere. Naturalmente le sonorità che nella mia testa suonano più familiari sono quelle tipiche della cultura in cui sono cresciuto, quindi occidentale (in tutte le sue sfaccettature), però mi ha sempre affascinato anche il "diverso", in qualunque campo, dunque anche in quello artistico. In ogni caso, se una canzone mi piace, mi piace a prescindere dal genere, che sia esso death metal, canto gregoriano, o la sigla di un cartone animato. E questo avviene sia da fruitore, che da creatore di musica".

La sua Torino musicale e non.

"A Torino ho vissuto nel periodo universitario, quanti ricordi! Insieme alla mia band abbiamo suonato in tutti i pub e festival possibili. Ho assistito insieme ai miei amici ad un sacco di concerti, da Paolo Conte a Iggy Pop, in mezzo il mondo, mettici un po' tu chi vuoi... belle serate. Quadrilatero, Murazzi, San Salvario, in qualunque via o angolo della città si sente sempre uno splendido fermento artistico".

Teatri e cinema chiusi, la musica confinata alle cuffie. Come vive da artista questo difficile momento per la musica?

"Per tutti i musicisti le fasi principali sono quasi sempre le stesse: scrittura di canzoni, produzione di un disco, promozione e live. Io mi sono inevitabilmente concentrato sulle prime due, e ora sto già buttando giù nuove idee. Tanto, anche volendo, non mi riesce proprio di fermare la mia testa. Invece, in generale, per quanto riguarda la situazione che stiamo vivendo tutti insieme, potrei dirti molte cose legate alla speranza (per un futuro migliore, ecc.). Il problema è che non mi piace molto il concetto di "speranza", lo associo mentalmente a un atteggiamento di passiva immobilità. Mi piace di più il termine "coraggio", in tutti i suoi significati. Vogliamo provare ad applicarlo alle nostre vite? Alla nostra società? Al nostro presente? Non lo so, ti dico la verità, io sono per il libero arbitrio; ammesso che poi... ce ne sia veramente uno".

Federica Monello