Sanità - 20 agosto 2021, 12:00

Carlo Frizzi va in pensione, è stato il dottore delle paure per generazioni di bambini e ragazzi

‘Figlio’ di un paese in guerra, ha lavorato come neuropsichiatra infantile a Torre Pellice per trent’anni ed ora è lui ad esprimere un’angoscia: “Temo che il servizio venga depotenziato”

Carlo Frizzi

Nel suo futuro ci saranno le montagne, la formazione, la cooperazione internazionale e forse il Mozambico, paese che nella notte non ha mai smesso di sognare e da cui è stato ‘adottato’. Andrà in pensione a settembre Carlo Frizzi, neuropsichiatra convenzionato che all’ospedale di Torre Pellice per trent’anni ha fatto i conti con le paure, le angosce e le difficoltà di generazioni di bambini e ragazzi.

L’inizio in Mozambico

L’esperienza lavorativa di Frizzi iniziò però molto lontano dalla Val Pellice, a Chókwè in Mozambico, dove con i Medici con l’Africa Cuamm, tornò a più riprese dal 1986 al 1991. “Mi laureai nel 1984 e iniziai la specializzazione in neuropsichiatria infantile. Sul mio futuro incombeva però il servizio militare che non avrei voluto svolgere e, intanto, nasceva in me l’idea di lavorare in Africa – racconta – così, quando Medici con l’Africa Cuamm mi propose due anni di volontariato internazionale in Mozambico, non mi lasciai sfuggire l’occasione”. Da lì la decisione di partire per il paese in guerra: “Fu paradossale: evitai il servizio militare per finire in mezzo a un conflitto”. Piccoli interventi di chirurgia, amputazioni... Frizzi si trovò a indossare i panni di medico di guerra: “L’ospedale di Chókwè aveva 140 posti ma noi medici eravamo in tre. Furono anni duri di formazione ma fortunatamente ho avuto buoni maestri”. Malaria, diarrea, polmonite, erano invece i nemici dei piccoli mozambicani, così come la malnutrizione: “Tenni il conto: in tre anni e mezzo di lavoro, mi erano morti tra le mani circa cinquecento bambini”.

L’arrivo in Val Pellice

Nel 1991 il suo orizzonte diventa invece la Val Pellice perché gli viene proposto un posto di neuropsichiatra infantile per 30 ore settimanali a Torre Pellice: “Sono nato e vivo a Torino, conoscevo solo vagamente la valle. È stata quindi una casualità della mia vita, ma una casualità fortunata”. La fortuna della sua nuova vita professionale fu trovarsi in piena sintonia con il modo di intendere la salute espresso dal direttore sanitario dell’allora Ussl 43: “Gianni Rissone aveva in mente un modello di salute coerente con il mio: bisognava andare con l’auto nelle borgate per incontrare le persone, andare incontro ai pazienti – spiega Frizzi –. La salute è una condizione che va costruita attivamente”. E l’aria che respirava in Val Pellice in quegli anni era per lui congeniale: “I servizi sociali funzionavano, c’era attenzione all’infanzia e alla condivisione. Le persone con cui ho lavorato in quel periodo mi hanno plasmato”. Tutto questo compensava la fatica del pendolare tra Torino e Torre Pellice: “Fortunatamente incontro il traffico dei pendolari nelle ore di punta sempre nella direzione contraria – sorride –. Per andare e tornare dal lavoro percorro circa 35.000 chilometri all’anno”.

Nonostante le condizioni di lavoro idilliache, all’inizio le resistenze delle famiglie erano però alte: “‘Io dal neuropsichiatra non ci vado, mio figlio è mica matto!’ Era una frase pronunciata spesso. Ho ripreso poco tempo fa la mia agenda del 1991: avevo circa 2 appuntamenti al giorno mentre i nuovi casi all’anno erano solo 30 o 40”. Oggi i casi nuovi all’anno vanno dai 90 ai 120 e il rammarico di Frizzi è che le sue 30 ore settimanali siano quasi tutte impiegate nella diagnosi mentre sono pochi i bambini e i ragazzi che può seguire nel percorso terapeutico.

“Il lavoro clinico è aumentato e siamo diventati bravi nel diagnosticare l’autismo così come i disturbi dell’apprendimento. E non mancano le soddisfazioni – ammette –: una ragazza a cui avevamo diagnosticato dislessia e disgrafia una decina di anni fa, nei giorni scorsi si è laureata in interpretariato e si è ricordata di noi mandandoci un ringraziamento”. Frizzi parla al plurale perché al primo piano dell’ospedale di Torre Pellice oltre al suo studio c’è quello della psicologa, della pediatra, della puericultrice, di una fisioterapista e delle logopediste, tutte figure professionali con cui collabora.

Uno sguardo sul futuro

Ora che va in pensione, come vede il futuro del servizio di neuropsichiatria infantile in Val Pellice? “La scelta di decentrare la neuropsichiatria infantile in valle è stata vincente: i dati dimostrano che quando sul territorio è attivo un servizio, le persone vi fanno ricorso. Temo però che possa essere depotenziato ed è un dispiacere perché la salute che va verso il paziente è più efficace di quella che si centralizza e si arrocca”. L’incognita è ancora più pesante se si considera l’aumento di lavoro degli ultimi anni: “All’interno dell’Asl To3 ci sarebbe bisogno di almeno 3 o 4 neuropsichiatri in più. Solo così si potrebbe riprendere a seguire meglio le terapie, mentre spesso oggi siamo costretti a limitarci alle diagnosi”.

Sul futuro dei ragazzi gravano invece gli effetti dell’isolamento sociale prodotti dalla pandemia: “Spero solo che le conseguenze di due anni di pandemia non siano devastanti e che i giovani non toccheranno il ‘punto di non ritorno’ dalla tecnologia. Ma non sono pessimista: in questi anni ho visto che i ragazzi sono sempre gli stessi, incontrano le stesse debolezze e hanno la stessa forza di quelli della generazione precedente. Le famiglie, poi, anche se spesso in gravi difficoltà, dimostrano, se ben sostenute, capacità di resilienza e adattamento”.

Frizzi non si immagina un futuro lontano da questi temi: “Una volta in pensione mi piacerebbe occuparmi di formazione e di educazione alla salute”. E non si allontanerà troppo nemmeno dalle montagne: “Ho amato quelle della Val Pellice: in passato quando finivo il lavoro, ogni tanto partivo per le camminate. Mi capitava anche di fermarmi a dormire alla Conca del Prà per tornare in ospedale il mattino”. Forse non resisterà nemmeno alla tentazione di tornare i Mozambico: “Di notte ancora sogno di essere là. D’altronde quando me ne sono andato da Chókwè mi hanno ‘affiliato’. Ricordo ancora che durante la cerimonia di congedo un’infermiera mozambicana mi prese sulle spalle dicendomi ‘Tu sei mio figlio!’ stesso trattamento ha ricevuto mio figlio quando qualche anno fa decise di fare il volontario nel posto dove era iniziata l’avventura del padre. Quando se ne andò, toccò a lui essere preso sulle spalle al grido ‘Tu sei mio nipote’”.

Elisa Rollino