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Attualità | 22 gennaio 2022, 12:39

Anno giudiziario, il pg Saluzzo lancia l'allarme: “Su mafie silenzio e indifferenza”

Sui presunti maltrattamenti al carcere di Torino: “Per evitare di arrivare ai livelli ricostruiti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, occorre un intervento serio da parte del Ministero, del Governo”

Anno giudiziario, il pg Saluzzo lancia l'allarme: “Su mafie silenzio e  indifferenza”

“Ma si parla ancora delle mafie? È un problema ancora ‘sentito', percepito nei suoi esatti termini e contorni? O, invece, come a me pare, è scesa una ‘cortina' opaca e nebbiosa sulla presenza, pervasività e sempre maggior forza economica e di penetrazione finanziaria, proprio ora che si debbono investire i fondi del Pnrr e realizzare opere, infrastrutture, servizi, ovviamente al di fuori del mondo degli ‘addetti ai lavori’”.

Lo ha detto il procuratore generale di Torino, Francesco Enrico Saluzzo, alla cerimonia d’apertura dell’anno giudiziario.

Qualche minuto prima, il presidente della Corte d’appello Edoardo Barelli Innocenti, aveva ricordato i giudici Falcone e Borsellino, nell’anno che segna il trentennale della loro morte. “Il nostro paese ha bisogno di eroi e tutti i magistrati devono ispirarsi a queste persone”. 

Saluzzo ha quindi aggiunto. “Qualche raro giornalista fa sentire una voce costante sui rischi, rievocando anche fatti passati, ma con protagonisti sempre attuali, organizzazioni particolarmente impegnate conducono una campagna di informazione, sensibilizzazione. Ma l’impressione è che sia calata uno schermo e vi sia un silenzio assordante o, quanto meno, indifferenza. La storia insegna che molti popoli la cui coscienza si era ‘addormentata’ si sono risvegliati in una realtà molto diversa, nella quale avevano perso molto, in termini di libertà, regole sociali, nuovi padroni. Non vorrei che la disattenzione ci conducesse a spiagge pericolose”. E ancora: “Le pulsioni volte ad indebolire e annacquare il cosiddetto ‘ergastolo ostativo’, nonostante le parole chiare della Corte costituzionale, ed il regime dettato dall’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario mi paiono un segnale non rassicurante. Evidentemente, qualcuno ritiene che il pericolo, ed anche il vulnus che esse portano allo Stato, delle mafie possa ritenersi scemato in termini quantitativi e qualitativi. Non è così e vicende recenti lo dimostrano”. 

Il procuratore generale, come da tradizione, ha affrontato più temi, senza risparmiare critiche. “Credo che l’opinione pubblica abbia il diritto di essere informata e il procuratore della Repubblica o il Procuratore generale abbiano il dovere di informare”, ha detto riferendosi al “bavaglio” che si intenderebbe imporre ai procuratori della Repubblica, quali titolari del rapporto con la stampa. “Non amo le conferenze stampa - ha ribadito il magistrato - e credo che i comunicati siano il mezzo migliore per far conoscere il pensiero dell’ufficio che si rappresenta”.

Spazio anche ai fatti avvenuti al carcere di Torino, dove si sarebbero verificati gravi episodi di sopraffazione e maltrattamenti nei confronti di detenuti. 

“Ritengo che il carcere debba essere un ambiente ‘severo’ ma umanizzante, nel quale il detenuto che ne abbia la possibilità e la volontà possa percorrere una quotidianità che gli apra delle prospettive. Altrimenti, assisteremo ad un peggioramento delle prospettive di ‘recupero’. Sono le brutalità e le vessazioni in forma organizzata, condivisa, contando anche sul silenzio di vittime e colleghi, quelle che ci allarmano di più - ha aggiunto Saluzzo - occorre, per evitare di arrivare ai livelli ricostruiti in ipotesi di accusa nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, un intervento serio da parte del Ministero, del Governo. Le carceri debbono essere una priorità, si debbono creare condizioni di vita decorosa e civile, sia con riferimento al trattamento, all’ammissione più ampia al lavoro interno, sia alle strutture”. 

Infine, una considerazione sulle norme sull'improcedibilità dell’azione penale introdotte dalle legge 134/2021.

“Non pensavo, francamente, dopo 44 anni di lavoro giudiziario, di vedere una soluzione siffatta. Con poco clamore, per vero ed ancor meno reazioni, salvo casi isolati, si è introdotta una norma che ‘decreta’ la morte del processo. L’improcedibilità si comporterà come se, in un pronto soccorso, venisse fissato un tempo massimo di permanenza. O si viene chiamati e curati entro quel termine, oppure si torna a casa a spegnersi senza cure. Trascorso un certo tempo per le Corti di appello e la Corte suprema di Cassazione, il procedimento ‘muore’ e l’azione diventa ‘improcedibile’. Con buona pace di chi spera ancora in un’assoluzione nel merito, di chi, vittima e parte civile si vede riconsegnata, dopo anni, ad esercitare ex novo la pretesa in sede civile. Penso e spero che la Corte costituzionale avrà modo di interloquire su questo istituto”.

Marco Panzarella

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