Lo scorso 16 febbraio la Corte Costituzionale è stata chiamata ad esprimersi circa l’ammissibilità di sette referendum, tra i quali quello a sostegno della legalizzazione della cannabis a scopo ricreativo. La Corte ha espresso parere negativo, giudicando il quesito referendario non ammissibile; di conseguenza, non saranno indette le elezioni per sottoporre il referendum al giudizio della popolazione. La pronuncia della Corte Costituzionale, infatti, rappresentava l'ultimo step prima del voto; in caso di esito favorevole (ossia qualora i giudici avessero ritenuto ammissibile il referendum), nei prossimi mesi l’elettorato sarebbe stato chiamato ad esprimersi circa la depenalizzazione di gran parte dei reati attualmente previsti per la detenzione e l’uso personale dei derivati della cannabis.
Le motivazioni della Corte
Il presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato, a seguito delle pronunce sui referendum in esame, ha tenuto una conferenza stampa (disponibile anche sul sito cortecostituzionale.it) in modalità telematica, spiegando i motivi alla base delle decisioni della Corte.
Per quanto riguarda il quesito referendario inerente alla legalizzazione della cannabis, Amato ha spiegato: “Abbiamo dichiarato inammissibile il referendum - io dico - sulle sostanze stupefacenti, non sulla cannabis. Qui c’è una parziale analogia con il referendum sull’eutanasia. Mi basti dire che il quesito, è articolato in tre sottoquesiti; il primo, quello relativo all’articolo 73, comma 1, della legge sulla droga, prevede che scompaia, tra le attività penalmente punite, la coltivazione delle sostanze stupefacenti di cui alle tabelle 1 e 3. Tali tabelle non includono neppure la cannabis, che si trova nella tabella 2, ma includono il papavero, la coca. Insomma, includono le cosiddette droghe pesanti. Già questo è sufficiente a farci violare obblighi internazionali plurimi, e che sono un limite indiscutibile del referendum. In aggiunta, ci portano a constatare l’inidoneità rispetto allo stesso scopo perseguito, quale che esso sia, poiché il quesito non tocca altre disposizioni che rimangono in piedi e che continuano a prevedere la rilevanza penale di queste stesse condotte. Quindi c’è la violazione di obblighi internazionali e inidoneità allo scopo nel referendum sulle sostanze stupefacenti”.
In sostanza, come spiegato dallo stesso Amato, la Corte Costituzionale ha giudicato inammissibile il referendum sulla cannabis in quanto, da un lato, avrebbe permesso di rendere lecita la coltivazione di qualsiasi sostanza stupefacente (integrando una violazione di specifici obblighi internazionali da parte dell’Italia); dall’altro, avrebbe rappresentato un corto circuito normativo, in quanto non avrebbe modificato altre disposizioni di legge che considerano penalmente perseguibili la coltivazione ed il consumo di tali sostanze.
Le prospettive future
La bocciatura della proposta referendaria per depenalizzare la maggior parte delle condotte legate ai derivati della cannabis fa sì che, allo stato attuale, l’unica possibilità di implementare una effettiva legalizzazione di tali sostanze sia rappresentata dal Testo base già adottato in Commissione Giustizia. Si tratta di un disegno di legge le cui proposte non differiscono, nella sostanza, da quelle del quesito referendario bocciato dalla Corte Costituzionale. L’iter parlamentare prevede che il testo venga portato in Parlamento e discusso dalle Camere; nonostante l’approvazione della Commissione Giustizia rappresenti un discreto passo avanti, la (probabile) presentazione di emendamenti al testo renderà il processo versa una eventuale approvazione particolarmente lungo e laborioso.
Al momento, quindi, in Italia (oltre alla cannabis terapeutica) esiste una sola categoria di derivati della canapa che rientrano nel perimetro della legalità: i prodotti denominati ‘light’, ossia quelli a basso tasso di THC (il principio attivo responsabile degli effetti stupefacenti), tra cui la marijuana legale, reperibile sia presso i negozi autorizzati sia online, tramite e-commerce specializzati come High on life weed. La definizione ‘light’, utilizzata solo in ambito commerciale e priva di fondamento normativo, fa riferimento alla totale assenza di effetti psicoattivi di parte di tali prodotti; questa caratteristica è dovuta al tasso praticamente nullo di principio attivo in essi contenuto.