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Cultura e spettacoli | 01 dicembre 2022, 14:08

Paolo Sorrentino ospite dei "Dialoghi" al Teatro Astra: l'evento il 2 dicembre alle 19

Il regista campano si confronterà con il direttore della Fondazione TPE Andrea De Rosa e con il direttore del Torino Film Festival Steve della Casa. Il tema? Quanto "teatro" c'è nei suoi film

Paolo Sorrentino © Claudio Porcarelli

Paolo Sorrentino © Claudio Porcarelli

Quanto teatro c'è nel cinema di Paolo Sorrentino? Formatosi in un mondo in cui cinema e teatro si incontrano e si contaminano nel contesto della grande scuola napoletana, a contatto con artisti cresciuti in un terreno nel quale le discipline artistiche sconfinano spesso da un genere all’altro, nei film di Sorrentino si avverte, oltre alla maestria cinematografica che gli è universalmente riconosciuta, anche il peso di una grande sapienza teatrale.

Andrea De Rosa, direttore del TPE Teatro Astra, ha invitato il regista a confrontarsi con questo tema, a partire dall’originalissimo utilizzo dei tanti monologhi presenti nei suoi film. Il monologo, infatti, è uno strumento eminentemente teatrale, di cui il cinema si è sempre servito, ma che nei film di Sorrentino trova una frequenza e una centralità che lo rendono del tutto unico: si tratta di monologhi lunghi, sospesi, teatrali appunto, che spesso interrompono il flusso della narrazione per scavare nell’intimità del personaggio. 
 
Venerdì 2 dicembre 2022 alle ore 19, in occasione della quarantesima edizione del Torino Film Festival, la Fondazione TPE, in collaborazione con il TFF e il Museo Nazionale del Cinema, presenta, al Teatro Astra di Torino, Paolo Sorrentino e un invito a riflettere con lui sulla forza del teatro nel suo cinema. Andrea De Rosa, direttore del TPE, e Steve della Casa, direttore del TFF, dialogheranno con Sorrentino scorrendo alcuni dei suoi monologhi più noti tratti da film come L’uomo in più (2001), Le conseguenze dell’amore (2004), Il Divo (2008), This must be the place (2011), La grande bellezza (2013), Loro (2018) e altri ancora… in un montaggio appositamente immaginato per essere commentato tra stimoli, rimandi teatrali - ad esempio, lo si può definire un cinema dai tratti shakespeariani? - e cinematografici  - ad esempio, come si spiega quella sensazione che lo spettatore prova sentendosi la parte mancante di una messa in scena dalla disposizione volutamente inclusiva? 
 
monologhi di Sorrentino sembrano uscire dal linguaggio cinematografico e rispondere a una forma di scrittura teatrale che, rallentando e diradando il ritmo narrativo, ci invita a entrare nell’universo drammatico del personaggio. La macchina da presa segue i suoi protagonisti che si lasciano andare a flussi di coscienza e, anche se in movimento, quando passeggiano e parlano, sta loro vicino, favorendo una profonda relazione tra l’attore e lo spettatore. La forza del teatro si trova proprio lì, in quell’invito che Sorrentino sembra rivolgere allo spettatore a diventare tutt’uno con l'attore. 
 
Secondo un radicato luogo comune, l'esperienza teatrale appartiene più agli attori mentre il cinema più ai registi. Sul palcoscenico, infatti, l'attore è in gran parte responsabile della drammatizzazione dello spettacolo, mentre nel cinema il suono, la fotografia, il montaggio, gli effetti speciali e i tanti elementi che compongono la macchina cinematografica concorrono alla pari alla sua realizzazione. Ma quando i monologhi irrompono nel cinema di Sorrentino, si ha l’impressione che il mondo sia più degli attori, proprio come avviene a teatro. In quei momenti, pare che il regista decida di fermare tutto e di rendere invisibile quella macchina ingombrante: meno fotografia, meno montaggio, meno suoni, meno effetti speciali… lasciando solo il testo e la cinepresa con le parole e il silenzio. In quei momenti è come se il teatro irrompesse sul grande schermo.

Daniele Angi

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