Sanità - 04 dicembre 2022, 07:00

Malattia: il corpo ci parla!

I consigli di Nutrigenomica di Simona Oberto

Che cosa è la malattia? Fermatevi e riflettete. Io considero la malattia uno “squilibrio psico-fisico-sociale”, uno “squilibrio globale tra mente e corpo”, una “mancanza di armonia tra le parti”. E' un qualcosa di unico e di singolare che racconta il vissuto personale di ogni individuo. La malattia è un “logoramento dell'energia vitale”, quell'energia responsabile dell'integrità e del perfetto equilibrio dell'organismo.

E' una condizione particolare che dovrebbe spingere l'uomo a porsi delle domande, a cambiare le proprie abitudini di vita, a divenire più consapevole e responsabile.

Per la maggior parte delle persone la malattia ha una valenza negativa: qualcosa di “brutto” che si abbatte sulle nostre vite, a volte quasi una punizione o una sorta di “sfortuna”.

Pochi si rendono conto di avere un ruolo predominate nella sua genesi e tendono ad attribuirne la responsabilità sempre a qualcosa di esterno che non dipende dalle loro scelte e che arriva a scombussolare tutti i loro piani. E quando arriva la diagnosi, ci sentiamo malati.

La concezione antropologica della salute e della malattia ci dimostra come, anche i concetti più fortemente radicati in noi, sono il risultato mentale di condizionamenti sociali e familiari. Del resto, quando pensiamo che un soggetto sia in piena salute?

Quando i suoi valori ematici, di temperatura e psicologici rientrano nei parametri di normalità. Però il “concetto di normalità” si basa sulla statistica che è un concetto troppo astratto che non tiene conto della soggettività ed unicità dell'individuo. Il problema è che le linee guida e i protocolli d'intervento molto spesso considerano il malato solo un insieme disunito di tessuti, organi, sistemi e funzioni vitali.

Si rivolge l’attenzione alla singola parte e non all'insieme, dando più importanza al sintomo che alla ricerca della causa. Insomma, si sono moltiplicate le conoscenze anatomiche, medico-chirurgiche e farmacologiche, ma è aumentata l'ignoranza delle origini della malattia.

Io penso che bisognerebbe avere una visione olistica dell'individuo e della sua condizione psicofisica, tenendo conto dei mille fattori che possono andare a modificare il suo stato di salute. Molto spesso si definisce malattia “ciò che la gente considera malattia”, basandosi solo sui sintomi e sui segni clinici.

Diventiamo “malati” nel momento stesso in cui il medico, con la sua diagnosi, ce lo conferma e in quel preciso momento la nostra mente, condizionata, mette in atto tutta una serie di meccanismi che andranno a peggiorare il nostro squilibrio, forse solo passeggero, rafforzando la nostra convinzione di “essere malati”!

La malattia non è solo un “errore fisiologico” e una “degenerazione organica”, ma è anche una risposta compensatoria ad uno squilibrio, lo sforzo dell'organismo per ritrovare gli equilibri persi. Una sorta di “segnale” che il nostro corpo ci invia per informarci che c'è qualcosa che non va nelle nostre abitudini quotidiane.

Un campanello d'allarme, una occasione che ci viene data per migliorare noi stessi, in poche parole un “processo dinamico e intelligente della nostra vita”.  A mio parere, se operiamo in sintonia con la Natura, cioè in senso economico, olistico e globale, possiamo riuscire a ottimizzare le nostre risorse e le nostre energie.

Sono sempre più convinta che “sano” è colui che si ammala e poi guarisce con un facile recupero, perchè il suo organismo, pur ammalandosi, possiede tutte le armi per superare lo stato fisiologico alterato e, una volta ritrovato l’equilibrio energetico- vitale, diventa più forte di prima.

Ricordiamoci che il corpo somatizza i disturbi, anche per permettere al cervello di continuare a coordinare le innumerevoli e complesse funzioni neuro-connettive e associative grazie alle quali ad es. possiamo scendere le scale o attraversare una strada senza cadere.

Il corpo (pensiamo alla radice “soma”) si fa così carico del peso delle varie preoccupazioni quotidiane: la mente scarica sul corpo ciò che potrebbe divenire troppo gravoso per la psiche. Penso sia fondamentale avere un approccio positivo nei confronti della malattia, piuttosto che vederla solo come fonte di sofferenza fisica e psicologica.

La maggior parte di noi è portato a scaricare la responsabilità dei propri malanni sempre su qualcosa o su qualcun altro, senza rendersi conto che siamo proprio noi gli artefici di tutto, con i nostri comportamenti sbagliati, le nostre abitudini alimentari sregolate e la nostra “non conoscenza”. Di fronte a un sintomo, dobbiamo fermarci, riflettere, per cercare le vere cause che, di solito, si celano dietro un nostro comportamento errato. Ma sarà possibile solo ammettendo i nostri errori, con la buona volontà e con una buona dose di autocritica.

L’autocritica è sicuramente un percorso impegnativo, difficile e doloroso, così molto spesso preferiamo una via più comoda, quella della autocommiserazione: ci sentiamo “vittime”, insoddisfatti, stanchi o irritati, confusi, delusi e offesi, a volte sbagliati, inadeguati alla vita, indegni o in colpa, e perchè no, fragili, insicuri, demotivati e spaventati, in poche parole “stressati” o peggio “depressi”.

E questo è sicuramente il terreno più fertile per l'instaurarsi di una malattia: le nostre difese immunitarie si abbassano, la nostra voglia di reagire si annulla e così ci leghiamo (a volte per sempre) a quelle insostituibili “pilloline” che almeno per un po' fanno scomparire quel disagio e quella sofferenza nella quale ci “culliamo” e con la quale, giustifichiamo il nostro ruolo proprio di “vittima”.

Il dolore però non deve essere “subito” o “ignorato”, ma va “ascoltato”, “capito”. Soffermiamoci su ogni segnale che il nostro corpo ci invia, a volte forse in modo un po' troppo brusco e inaspettato, perchè i sintomi sono dei messaggi che devono essere letti, capiti e interpretati.

A volte, basterebbe poco: qualche cambiamento nel nostro stile di vita potrebbe indurre l'organismo a curarsi da solo e da solo ritrovare il giusto equilibrio! E noi, se consapevoli di questa importante certezza, non dovremo fare altro che fermarci, respirare, ascoltare e se il caso sopportare il dolore, consapevoli che quella è l'unica via che il corpo conosce per ristabilire l'equilibrio perso.

La malattia va intesa come una “depurazione psicofisica”, che riguarda non solo l'aspetto fisico (alimentare, atmosferico, acustico), ma anche quello mentale ed emotivo. E’ brutto da dirsi, ma a volte il paziente viene considerato solo un caso clinico, un numero. Il tutto caratterizzato da poco dialogo, poco contatto umano, poco tempo da dedicare alla persona che si ha davanti, poca intuizione nel capirla, poca voglia di studiarla, facendo attenzione ai particolari: la sua postura, i suoi atteggiamenti, il suo modo di comunicare.

Ricercare le cause della malattia è un percorso dispendioso, perchè implica una analisi profonda dell'animo umano, una ricerca interiore libera da condizionamenti e preconcetti.

Mi viene in mente che lo stesso Ippocrate, padre della medicina, sosteneva che le cause di ogni male fossero da ricercare all'interno dell'individuo e non fuori. Ben sappiamo che conoscendo le cause di un fenomeno possiamo, intervenendo, mutarne o correggerne l'esito, allora perchè non fare lo stesso nei confronti della malattia?

Impariamo a riconoscere ciò che ci danneggia, impariamo a riconoscere e interpretate i sintomi perchè essi sono una manifestazione del vissuto della persona. Ci raccontano il suo ruolo in famiglia e nella società, ne esprimono in modo sintetico le abitudini e l'abito sociale.

Descrivono i suoi punti di forza e i suoi desideri, ma anche i suoi vizi e le sue debolezze e magari le sue difficoltà di adattamento. In poche parole, “suggeriscono la causa”! Negli ultimi tempi si è consolidata una tendenza, sempre più diffusa a ricondurre a un generico “stato di stress” la responsabilità di qualsiasi disturbo, non riconducibile ad una causa precisa.

Ma attenzione, lo stress è soggettivo: ciò che può essere stressante e limitante per uno può non esserlo per un altro, e molto spesso è una condizione legata al proprio ambiente e al proprio ruolo sociale, familiare e lavorativo. Penso che sia fondamentale avere un atteggiamento intelligente e costruttivo nei confronti dei problemi della nostra vita.

Non dobbiamo né ignorarli, né ingigantirli, ma affrontarli con il giusto spirito perchè il loro superamento ci renderà persone più forti, consapevoli e serene: del resto essi contribuiscono a costruire la nostra esperienza e a forgiare il nostro carattere!

Dobbiamo viverli come stimoli e non come ostacoli, cercando di adattarci alle nuove situazioni, ai continui mutamenti, abbandonando la rigidità mentale, evitando di lasciarci alle spalle situazioni irrisolte che con il tempo potrebbero intaccare la nostra stabilità psicofisica.

Allora, lo scopo della malattia è anche quello di favorire un adattamento fisiologico e funzionale che ci garantisca la sopravvivenza?  Penso di sì! Pensiamo a come reagisce l'organismo in seguito all’ingestione di un cibo velenoso: la mente, tramite il cervello, determina un aumento della peristalsi intestinale allo scopo di eliminare il veleno in fretta con scariche di diarrea o con il vomito.

Allo stesso modo, anche la presenza di una persona o di una situazione indesiderata, provocherà dolori alla pancia o allo stomaco. Il corpo è un fiume di energia e di informazioni. Dobbiamo solo imparare ad ascoltarlo e comprenderlo!

In conclusione, voglio sottolineare che dobbiamo abbandonare il concetto di malattia come “sfortuna” o peggio “castigo”, proprio di una visione superstiziosa e ottusa, e dobbiamo imparare a viverla e accettarla come un “processo di crescita”, come se fosse una tappa della nostra vita, un percorso naturale e fisiologico come la nascita e la morte. “Dalla sofferenza sono emersi gli spiriti più forti. Le personalità più tenaci sono solcate da profonde cicatrici”. (E.H.Chapin)

Redazione