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Cronaca | 06 febbraio 2023, 12:24

In ‘lotta con l’Alpe’ e contro i nazisti: il ricordo di Ferruccio Cinquetti, partigiano in Val Chisone

Residente a Torino, è scomparso a novantasette anni. Fu l’alpinista che aprì l’omonima via sulla Rocca Sbarua

Da sinistra Ferruccio Cinquetti con la moglie Angela, Massimo Manavalle ed Enrico Camanni (foto di Gabriella Rinaldi)

Da sinistra Ferruccio Cinquetti con la moglie Angela, Massimo Manavalle ed Enrico Camanni (foto di Gabriella Rinaldi)

“Vado a fare la Cinquetti”: lo dicono tanti giovani alpinisti, alzando lo sguardo all’omonimo sperone della Rocca Sbarua. Ma forse non tutti sanno la storia dell’uomo che ha aperto quella via, lo stesso che faceva saltare le strade all’arrivo dei mezzi dei nazisti e che, pur originario del Cremonese, fu uno dei più giovani partigiani della Val Chisone. Ferruccio Cinquetti, novantasettenne residente a Torino, è morto giovedì 26 gennaio. Amici e famigliari gli hanno dato l’ultimo saluto venerdì 27 al tempio crematorio di Piscina. Tra loro c’era Massimo Manavella, gestore del Rifugio Selleries, che conobbe Cinquetti una quindicina d’anni fa durante il suo pernottamento nella struttura dell’alta Valle Chisone. “Una sera ci sedemmo accanto a chiacchierare e da lì nacque la nostra amicizia. Pur vivendo a Torino, Ferruccio era così affezionato a queste vallate da continuare sempre a frequentarle: passava quindici giorni da noi e poi andava a Prali. Fu il più giovane partigiano della Val Chisone e si sposò la prima volta con una donna della Val Pellice” racconta Manavella.

Originario di Gabbioneta Binanuova, in provincia di Cremona, a quattro anni era a Villar Perosa con la sua famiglia, poiché il padre aveva trovato lavoro come manovale alla Riv. Durante la seconda guerra mondiale, la famiglia Cinquetti si spostò invece ad Inverso Pinasca per paura dei bombardamenti alleati che poi colpirono effettivamente lo stabilimento. Da lì, il giovane Cinquetti si unì ai partigiani: prima a Balziglia in Val Germanasca, per poi seguire il ‘Lupo’, Gianni Daghero, con cui si dedicò ai sabotaggi contro i mezzi tedeschi. Approdò infine al battaglione ‘autonomo’ comandato da Ettore Serafino.

“Il 25 aprile del 1945 era imprigionato nel carcere ‘Le Nuove’ a Torino – spiega Manavella –. Raccontava spesso di quel mattino in cui i tedeschi, in preda alla confusione, non si presentarono per fare l’appello. Non capendo ciò che stava succedendo fu preso dal terrore, fino a quando i partigiani non aprirono la porta della cella”. Cinquetti narrava gli eventi in modo critico: “Spiegava che appena uscito dal carcere cominciò a girare per Torino ma le cose che vide erano talmente raccapriccianti che si vergognò di trovarsi lì in quel momento. Ferruccio non risparmiava critiche nemmeno verso le azioni dei partigiani”.

Conosciuto dagli amici come ‘un borbottone’, tuttavia mantenne fino all’ultimo uno spirito giovane: “Fino alla sua scomparsa è stato benissimo: aveva la giovinezza dentro. Per il compleanno dei 95 anni, ad esempio, andò con suo nipote a farsi un tatuaggio” ricorda con affetto Manavella.

Sono proprio i giovani ad aver percorso tante volte la sua ‘via’ nel settore destro della Rocca Sbaura: “Tutto il mondo alpinistico la conosce, ci passa chi frequenta i corsi, le scuole. È ottima per la formazione” afferma Marco Conti del Cai di Pinerolo. Il nome completo della via d’arrampicata è ‘Cinquetti-Burdino’: “Ferruccio infatti l’aprì alla fine degli anni Quaranta, assieme al suo compagno di cordata, anche lui partigiano, Felice Burdino – racconta – e lo sperone nel settore destro della Rocca Sbarua prese il nome di Cinquetti”.

Il suo modo di intendere l’alpinismo era tradizionale, ma non mancava di confrontarsi con chi la pensava diversamente, e lo faceva con una buona dose di autoironia: “Ridevamo assieme del disonore che aveva provato quando, di fronte a un traverso delicato della sua via, piantò un chiodo perché non si sentiva più sicuro: per lui era una vergogna, fino a quel momento era salito senza protezione rivela Manavella –. Oggi sembra insensato quel comportamento, ora tutta la via è splittata e con protezioni moderne, ma a quel tempo la visione dell’alpinismo era eroica. Erano i tempi della ‘Lotta con l’Alpe’”.

Elisa Rollino

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