Avendo guidato parecchie auto e avendo percorso in un mese 2.500 km a bordo di un veicolo totalmente elettrico, la mia risposta all’interrogativo “ha senso resistere alla transizione energetica restando fedeli al motore termico?”, non è più scontata. In un ipotetico rapporto costi e benefici, ammetto che il livello di efficienza, affidabilità, facilità e piacere di guida raggiunto dall’auto a batterie è sconvolgente. Oltre che sempre entusiasmante!
Preambolo necessario per introdurvi un nuovo modello di auto elettrica. Dopo un’attesa lunga 4 anni, saggio finalmente le qualità di Polestar 2. Polestar è una casa automobilistica svedese appartenente a Volvo Group (controllata dalla cinese Geely) specializzata nella produzione di auto ad alte prestazioni (ieri), auto elettriche (oggi) e da sempre produttore di componenti tecnici per i modelli Volvo. Insomma, gente che le auto le fa bene da sempre.
Le aspettative sono elevate perché il modello sott’esame è un prodotto raffinato e dotato di soluzioni tecniche esclusive. Oltre che concorrente diretto di Tesla Model 3 e Model Y, i modelli a batterie più venduti.
È un pomeriggio di fine inverno. Naturalmente elettrizzante. Chiarore sullo sfondo, temperatura 9 celsius. Polestar mi da appuntamento nel Tempio dell’auto chiamato Mauto (acronimo di Museo dell’Auto di Torino). All’arrivo mi attendono Federico Battistini – Relationship Manager di Polestar – e Polestar 2.
Polestar 2 fa bella mostra di sé in livrea bianca lucida. Il corpo vettura galleggia su bellissimi cerchi bicolore da 21” e gomme invernali Michelin Pilot Alpin 5.
Una veloce presentazione statica del veicolo, un piccolo scambio di opinioni, qualche scatto e siamo a bordo. Federico Battistini alla mia destra e il mio Ing. di fiducia – Silvio Sannasardo – comodo come un pascià sul sedile posteriore. Un paio di interrogativi mentre allacciamo le cinture di sicurezza color giallo oro (come le pinze freno!), qualche tocco ai comandi elettrici del bel sedile in pelle ghiaccio e siamo pronti a partire. Piede destro sul pedale sinistro, leggera pressione al tasto start. E con la piccola cloche tra i sedili interiori – dove risalta il logo Polestar illuminato da un led bianco – innesto la D.
L’auto è pronta. Niente sussulti, niente scossoni. Esco in modo felpato, aiutato dalle telecamere a 360° da un parcheggio molto angusto, e percorro i primi metri fino al semaforo rosso. Compaiono le prime sensazioni: la posizione di guida appena rialzata aiuta in marcia a valutare ingombri oltre ad essere comoda anche per ingresso e uscita dall’abitacolo. Triangolazione sterzo, pedaliera, sedile: perfetta. Come perfetta è l’ergonomia generale dei comandi sulla bella plancia. Strumentazione digitale che più chiara non si può, tablet verticale al centro con software Google dedicato, materiali che appagano l’occhio e soprattutto il tatto perché sono sempre morbidi. L’ambiente risulta ovattato e molto confortevole. E trasmette quell’elevata sensazione di sicurezza, appannaggio di poche auto.
Prime impressioni. Modalità di guida unica: non ci sono parametri da settare o modalità da scegliere. Lo sterzo è preciso e progressivo e la corona del volante – pastosa e setosa – s’impugna con particolare piacere. Tra tutto mi stupisce la calibrazione dell’acceleratore: eccelsa, di riferimento. La marcia è fluida e la decelerazione morbida tanto che il recupero dell’energia pare più simile a una vettura termica che elettrica. Nello stop-and-go del traffico cittadino, l’auto è perfettamente a suo agio: non strattona e non ha l’effetto elastico tipico delle Tesla o delle elettriche in genere. Controlli di assistenza alla guida presenti, puntuali, precisi ma soprattutto discreti, silenziosi e mai invasivi. Forse gli specchietti esterni potevano essere più generosi. Ma il fatto che siano tutti senza cornice (frameless anche quello interno!) li rende oggetti d’arte. Inoltre hanno l’indicatore dell’angolo cieco a intensità variabile: quindi oltre alla bellezza, anche la funzionalità esemplare.
Imboccata finalmente la tangenziale, procediamo osservati dalle vetture intorno: ci scrutano come fossimo su un oggetto non identificato! I conducenti di Bmw e Mercedes si affiancano per sfidarci a tenere il loro passo rapido dei 130 orari. Curvoni e giunzioni di viadotti scorrono via veloci e silenziosi, senza nulla trasferire allo sterzo, all’abitacolo, agli occupanti. È come viaggiare sul velluto: le sospensioni digeriscono le sconnessioni in modo eccellente anche con gli pneumatici praticamente senza spalla. L’assetto è sostenuto infatti il corpo vettura è sempre piatto, neutro. Lo sterzo, quasi chirurgico per precisione, aumenta il carico al crescere della velocità ma non diventa mai impegnativo. Perché la vettura resta sempre fedele, sincera, sicura, controllabile, appagante. Anche quando andatura e velocità crescono a livelli da circuito, Polestar 2 resta docile, comoda e non si scompone. E quando si tratta di decelerare repentinamente per l’uscita della tangenziale raggiunta troppo in fretta, lei ti permette di arrestarti in uno spazio grande come un fazzoletto, senza alcuno sforzo, e in piena sicurezza.
Polestar 2 è un’auto costruita mettendo la fiducia (nella tecnologia elettrica!) al primo posto: ti comunica sempre in modo puntuale e senza filtri cosa accade sotto le ruote e al corpo vettura, invitandoti ad intervenire con largo anticipo, se mai ce ne fosse bisogno. E in vero, la sensazione di sentirmi pilota anche senza frizione, senza cambio e senza rumore del motore, è totale. E quest’ultima affermazione è il complimento più bello che io faccio a un’auto elettrica! Con le auto elettriche avverto – a tratti – la sensazione di essere guidato piuttosto che guidare… Non mi riferisco all’angelo custode dei sistemi di ausilio alla guida di livello 2 che pure qui sono presenti. Mi riferisco al fatto che talvolta l’auto elettrica non recepisce con completezza il comando impartito o non risponde sempre in maniera lineare! Ma con Polestar 2 è diverso. È tutto così perfetto, preciso, puntuale ed entusiasmante che la lunga strada percorsa si è trasformata in una brevissima esperienza, vista l’immediata sintonia e l’agio in cui riesce a mettere conducente e passeggeri.
Scheda tecnica: la vettura è lunga 461 cm, larga 180 cm, alta 147 cm e ferma la bilancia a 2150 kg. La versione da me guidata era la Performance, dotata di 2 motori, trazione sulle 4 ruote, batteria da 78 kWh per un autonomia dichiarata di 500 km, potenza complessiva di sistema di 350 kW (480 CV). Corredavano l’esemplare: vernice extra-serie, impianto frenante Brembo dedicato con 4 pistoncini (all’anteriore), pinze giallo oro, assetto originale Öhlins regolabile manualmente su 22 posizioni. Completava poi la dotazione il raffinato impianto audio Harmann/Kardonn in grado di riprodurre fedelmente l’esperienza immersiva della sala da concerto anche quando l’auto è in movimento.
Di serie – come in tutti i modelli Volvo – la sicurezza. E quella sensazione palpabile di sentirsi comodi dentro una fortezza: dal costruttore che nel 1959 ha inventato l’attuale cintura a 3 punti (obbligatoria in tutte le auto) e ha costruito la sua reputazione vendendo le auto più sicure del mondo, non poteva essere altrimenti.