C’è chi non è riuscito a salutare come si deve il suo piccolo ospite bielorusso, chi ripensa con malinconia alla felicità che si accendeva negli occhi dei bambini nel periodo passato in Italia, e al pianto sommesso con cui ripartivano. L’esperienza di uno dei gruppi più attivi dell’associazione Senza Confini è terminata: si stanno infatti concludendo le pratiche per chiudere definitivamente la sezione della Val Pellice. Era l’ultima rimasta assieme a Vinovo dopo la chiusura delle sezioni della Val Noce, di Piobesi e di Candiolo.
Dal 1996 ogni anno ospitava in media circa 30 bambini provenienti dalle zone della Bielorussia più contaminate dalle radiazioni causate dall’incidente nucleare di Černobyl’ del 1986. “La quarantina di giorni che trascorrevano da noi contribuiva al loro stato di salute. Era una boccata d’aria che serviva a prevenire le malattie causate dall’esposizione alle radiazioni” racconta Angelo Ferlenda, responsabile della sezione. Oggi per loro quella ‘boccata d’aria’ sarebbe ancora importante: “Il bisogno è lo stesso di allora: la popolazione subirà ancora per anni gli effetti della nube radioattiva”.
Prima la pandemia, poi il conflitto bellico
Tuttavia la sezione deve rinunciare alla sua missione a causa della guerra in Ucraina: “La Bielorussia infatti ha rotto ogni rapporto con il nostro Stato ed ha chiuso la parte della nostra associazione che risiedeva in quel Paese e organizzava gli aspetti logistici dell’arrivo dei bambini di Italia” racconta Ferlenda. Così il meccanismo che permetteva il soggiorno di bambini e ragazzi dagli 8 ai 16 anni in Val Pellice, si è definitivamente inceppato. “Avevamo già sospeso gli arrivi nel 2020 a causa della pandemia ma, nonostante mille difficoltà, volevamo riprendere l’attività – rivela Ferlenda –. La guerra ha dato però il colpo di grazia”.
La nascita dell’associazione
Tra chi rimpiange di non aver potuto dare l’addio ai giovani ospiti c’è Lucilla Borgarello che con suo marito, Alberto Corsani, dal 2000 aprivano le porte di casa ai bielorussi: “Il 2019 è stato l’ultimo anno in cui li abbiamo visti, poi è arrivata la pandemia e successivamente la guerra... non siamo nemmeno riusciti a salutarli come si deve” afferma Borgarello. Responsabile per quindici anni della sezione, lei è stata tra le persone che l’ha vista nascere nel 1996: “Tutto partì dalla guerra in Bosnia ed Erzegovina: ad inizio degli anni Novanta raccogliemmo dei soldi per accogliere una mamma bosniaca con due figli ad Angrogna. Quando, alla fine del conflitto, la famiglia tornò nel proprio Paese, noi ci ritrovammo ancora con alcune risorse e decidemmo di usarle per ospitare giovani bielorussi – racconta –. Inizialmente pensavamo di farlo solo per un anno, poi ci affezionammo ai bambini e decidemmo di proseguire con l’esperienza entrando a far parte di Senza Confini, associazione nata appena l’anno precedente”.
Partì così l’attività costante di reclutamento delle famiglie e di raccolta fondi: “Attraverso i concerti, le presentazioni dei materassi e la vendita del vischio a Natale, raccoglievamo circa 12.000 euro all’anno che ci servivano per coprire buona parte delle spese delle famiglie. Tra queste anche le visite mediche che i bambini facevano in Italia e l’acquisto ad esempio degli occhiali quando erano necessari” racconta Borgarello.
La donazione dei fondi
Ora l’avanzo di circa 13.000 euro con cui l’associazione si è trovata a chiudere l’ultimo bilancio andrà in aiuto di bambini che abitano in altre zone del mondo: “Abbiamo scelto di finanziare una serie di progetti di enti ed associazioni del territorio destinati ai minori che vivono nei paesi più poveri” spiega. Il contributo della sezione Val Pellice di Senza confini così ha già contribuito all‘acquisto di bici per alunni dei villaggi poveri del Marocco, ma raggiungerà anche, ad esempio, un campo per rifugiati siriani in Libano e l’Africa.
“Nonostante tutto l’impegno che richiedeva, potessi tornare indietro rifarei tutto da capo” afferma Borgarello che era arrivata ad ospitare in casa quattro bambini contemporaneamente. “Mi dava la sensazione di fare veramente qualcosa di utile: lo vedevo negli occhi dei bambini che si accendevano di felicità una volta ambientanti e lo sentivo nel pianto con cui ci lasciavano per tornare in Bielorussia” racconta Ferlenda.