Cultura e spettacoli - 01 novembre 2023, 08:04

Spazio Portici torna a illuminare in via Nizza: Where The Words End è in collaborazione con Recontemporary

All'angolo con via San Pio, le nuove proiezioni di video arte

Spazio Portici - Percorsi Creativi torna a portare l'arte contemporanea sotto le arcate dei portici di via Nizza. 

Per il terzo episodio di Spazio Portici-Video Arte, co-curato in questa occasione con Iole Pellion di Persano in collaborazione con l'Associazione Recontemporary, i lavori di artisti internazionali di alto valore e qualità sono stati chiamati a interagire con il tessuto metropolitano, aprendo a una nuova modalità di fruizione dell’arte contemporanea.

In questo episodio, si è deciso di esplorare i limiti e le potenzialità del linguaggio rispetto alla condizione esistenziale singola e associata.

"Spazio Sportici intende essere un format curatoriale aperto alla cittadinanza e capace di fare rete con esperienze pubbliche e private in vista di un’operazione di rigenerazione artistica dello spazio metropolitano”, afferma Roberto Mastroianni. “La mostra si incentra sul linguaggio testuale come tassello fondamentale per la comunicazione e la perpetuazione della cultura. È interessante vedere come l’arte riesca a legare concettualmente e fisicamente l’aspetto effimero e immateriale del video a qualcosa di estremamente opposto come la scrittura” aggiunge Iole Pellion di Persano


A Spazio Portici-Video Arte prende forma la mostra Where The Words End (novembre-dicembre 2023), realizzata in collaborazione con l’Associazione Recontemporary, che indaga la relazione tra corpi, identità, tecnologia, linguaggi, spazialità, temporalità e limiti della comunicazione.

Attraverso l’esplorazione della produzione di videoartisti internazionali prende vita un paesaggio sonoro e visuale integrato con gli spazi delle arcate storiche, che tematizza l’interazione tra le persone e i limiti della comunicazione, indagando la condizione esistenziale e antropologica contemporanea, al fine di restituire la dimensione sociale delle città contemporanee, l’immaginario e le forme dell’identità collettiva e individuale.

La vita quotidiana dei passanti si trasforma così in un’esperienza sensoriale ed estetica, che permette di riappropriarsi di un luogo di transito, trasformandolo in uno spazio denso di senso e significato e realizzando un’esperienza di rigenerazione artistica di una porzione del tessuto metropolitano.

Le opere degli artisti in mostra, selezionati tra gli esponenti più importanti della video arte internazionale rispettando un’assoluta parità di genere, sono in dialogo con la mostra Where the Words Start su Lawrence Weiner ospitata negli spazi di Recontemporary, in via Gaudenzio Ferrari 11 a Torino.

Il percorso espositivo 

Il percorso espositivo si articola in questo modo tra spazio pubblico e spazio privato, indagando la dimensione ontologica e antropologica del linguaggio.

A partire dalle opere di Weiner, i Video degli artisti (Allora & Calzadilla, Beltran, Conlon, Dombis, Fucà, Pong) indagano le insidie e le potenzialità che si nascondono al limite del linguaggio, mostrando i complessi significati che si nascondono nei codici comunicativi in relazione alla spazialità, alla temporalità e alle relazioni interpersonali, dando vita a narrative che sono estensioni di un’indagine concettuale che cattura oggetti banali, azioni quotidiane, immagini, parole, impressioni, testi e grafiche. Obiettivo della mostra è spingere i fruitori a interrogarsi sull’essenza e il significato del linguaggio come struttura fondamentale delle relazioni umane e sui meccanismi di comprensione e incomprensione che sorgono nei giochi linguistici che mettono in forma la nostra esperienza quotidiana. In (Video) Game #5 (2009, 48”) Donna Conlon e Jonathan Harker hanno inventato e registrato una serie di giochi in cui si affrontano questioni di cooperazione, competizione, identità nazionale, dinamiche di genere e geopolitica.I trucioli e le assi recuperati dalle rovine dei quartieri storici demoliti a Panama City sono la testimonianza di una frenetica metamorfosi che ha cancellato la storia architettonica della città e divorato la memoria collettiva dei suoi abitanti. Con Endless Ends (2009, CH, video, 6’48”) Elodie Pong, le immagini finali che nei film classici indicano il passaggio dalla parte narrativa ai titoli di coda, sono collegate tra loro in un ciclo in loop. Questa ripetizione apre un campo infinito di possibilità che rende impossibile determinare una fine definitiva. Erick Beltran con Stock (56”, single-channel video, b&w) propone una serie di domande e preoccupazioni: chi seleziona e organizza le immagini, e come? A quali fini specifici? Quale delle tante immagini dovrebbe essere considerata vera? Quali essere respinte o accettate? Beltrán crea un prodotto visivo che fornisce uno sguardo incisivo e interrogativo su concetti come gerarchizzazione, sistematizzazione, classificazione, modifica, valore e ordine, che sono impliciti nelle immagini e nei messaggi che normalmente ci circondano. Il lavoro video Signs Facing the Sky (2005, 2’23”, single-channel video, color, sound) di Jennifer Allora, Guillermo Calzadilla interviene nella topografia urbana che si estende sotto le ali di un aeroplano, pochi secondi prima di atterrare all'Aeroporto Internazionale di San Diego. Il lavoro video incorpora frasi raccolte dagli artisti durante interviste informali con abitanti degli edifici lungo il percorso di volo, creando un'immagine del paesaggio interno della città in cui le voci dei residenti si intersecano e si sovrappongono. Le frasi che svelano desideri, speranze e segreti sono state sovrapposte sui tetti degli edifici lungo il percorso di avvicinamento all'aeroporto. Questi edifici offrono ai passeggeri delle compagnie aeree il loro primo contatto visivo con San Diego. Con Blue Moon Over (2001, 5’14”, color, sound) Lawrence Weiner estende i suoi lavori basati sul testo nel regno digitale, proponendo aforismi e frasi epigrammatiche che indagano il linguaggio, l'assimilazione e il desiderio: una serie di sequenze animate senza soluzione di continuità di disegni e frammenti di testo. Nel video di Lina Fucà Didikidim (2020 Video digitale, Min 04:08) protagonista è la parola “mangiare”. In alcune zone del mondo o classi sociali, il bisogno di nutrirsi sembra essere diventato un fatto di costume e non qualcosa di fondamentale, senza la quale tutto il resto non ha senso. Attraverso il video prende forma questa l’importanza fondamentale di questa parola che risuona nelle diverse lingue come un canto o una poesia; emerge dal mare, in un susseguirsi di immagini di scritture in ferro, che avanzano accompagnate da voci che pronunciano il suono. Maria Loboda in The Messenger (Peril is the absence of any awareness of peril. Like the night before a war) (2012 - 2015, Video/Film, One channel video loop) collega linguaggio e rappresentazione in connessioni il cui contenuto spesso sfugge, spesso viene apertamente eclissato dall’ornamento. Ogni lettera contenuta nel titolo dell’opera è ritratta individualmente e successivamente davanti alla telecamera. Il percorso espositivo finisce con un’opera di Pascal Dombis (“Time is Junk”, 2017), che apre a una riflessione sul rapporto tra immagine e temporalità nell’epoca del digitale, creando un’installazione video che si presenta come una collezione, composta algoritmicamente, di citazioni poetiche, filosofiche e letterarie. Questo viaggio nella scrittura e nella parola poetica si presenta come un’esplorazione del nostro immaginario collettivo, e serve da attivatore di sensazioni ed emozioni che collegano il tempo interno dello spettatore con il tempo esterno delle nostre narrazioni culturali. In questo modo percezione, ricordo, immagini e immaginario si uniscono in una frammentaria biografia collettiva e individuale. Le immagini e i suoni di questo percorso espositivo si relazionano ai corpi, virtuali e reali, la tecnologia, ai nuovi linguaggi e una porzione di tessuto metropolitano danno così vita a una Video e Sound Art Gallery dalla curatela narrativa, che fa dello spazio pubblico un dispositivo integrato capace di presentarsi, sia come elemento in grado di interagire con l’opera e il fruitore diventando parte dell’opera stessa, sia come spazio espositivo per dare vita a una nuova fruizione estetica del tessuto urbano e a una rinnovata esperienza dell’arte pubblica.

redazione