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Attualità | 11 novembre 2023, 18:20

Orgoglio Torinese: a metà del 1800 la nascita della prima scuola serale per operai

Ripercorriamo i momenti salienti di questo pezzo di storia del capoluogo sabaudo

foto di archivio

Orgoglio Torinese: a metà del 1800 la nascita della prima scuola serale per operai

Sin dalla prima metà del 1800, molti degli operai impiegati di giorno presso le fabbriche di Torino sentivano l'esigenza di istruirsi. 

Così, nel 1845 nacque la prima scuola serale sotto l'egida dei Fratelli delle Scuole Cristiane, confraternita che, all'epoca, deteneva l'intera gestione dell'istruzione elementare municipale. 

La fondazione delle successive cinque classi serali avvenne quattro anni dopo, nel 1849, e fu direttamente il Comune di Torino a patrocinarla, consentendo così a numerosi altri operai di ricevere le nozioni di base di scrittura, lettura e calcolo.  

Negli anni immediatamente successivi all'unità d'Italia, avvenuta il 17 marzo del 1861, la città di Torino contava già ben otto scuole serali, per un totale di 30 classi. 

Man mano il numero si amplia, grazie anche alla fondazione di nuovi corsi serali anche presso le scuole rurali, arrivando così a contare, agli inizi del secolo scorso, 150 classi serali che seguivano 5000 allievi. 

Le sedi dei corsi serali sono le medesime di quelli diurni, guidate dagli stessi dirigenti e dotate di banchi con altezze regolabili o scalette sollevabili. 

I corsi erano tenuti da insegnanti comunali, dal 1 ottobre al 15 marzo dalle 20.00 alle 22.00, con una retribuzione di 500 lire. La frequenza dei corsi era gratuita ma all'iscrizione si chiedeva una lira che, per incentivare la frequenza, veniva restituita ad ogni alunno. 

Già Edmondo De Amicis, nel suo libro Cuore, descrive così i corsi attivati presso la scuola Moncenisio: "Non avevo mai visto una scuola serale! C'eran dei ragazzi da dodici anni in su, e degli uomini con la barba, che tornavano dal lavoro, portando libri e quaderni; c'eran dei falegnami, dei fochisti con la faccia nera, dei muratori con le mani bianche di calcina, dei garzoni fornai coi capelli infarinati e si sentiva odor di vernice, di coiami, di pece, d'olio, odori di tutti i mestieri. Entrò anche una squadra d'operai d'artiglieria vestiti da soldati, condotti da un caporale. S'infilavano tutti lesti nei banchi, levavan l'assicella di sotto, dove noi mettiamo i piedi, e subito chinavan la testa sul lavoro. [...] Le porte delle classi erano aperte. Rimasi meravigliato, quando cominciarono le lezioni, a vedere come tutti stavano attenti, con gli occhi fissi. Eppure la più parte, diceva il Direttore, per non arrivar troppo tardi, non eran nemmeno passati a casa a mangiare un boccone di cena, e avevano fame. I piccoli, però, dopo mezz'ora di scuola cascavan dal sonno, qualcuno anche s'addormentava col capo sul banco; e il maestro lo svegliava, stuzzicandogli un orecchio con la penna. Ma i grandi no, stavano svegli, con la bocca aperta, a sentir la lezione, senza batter palpebra; e mi faceva specie veder nei nostri banchi tutti quei barboni. Salimmo anche al piano di sopra, e io corsi alla porta della mia classe, e vidi al mio posto un uomo con due grandi baffi e una mano fasciata, che forse s'era fatto male attorno a una macchina; eppure s'ingegnava di scrivere, adagio adagio. [...] Mio padre mi trattenne là fino alla fine, e vedemmo nella strada molte donne con bambini in collo che aspettavano i mariti, e all'uscita facevano il cambio: gli operai pigliavano in braccio i bambini, le donne si facevan dare i libri e i quaderni, e andavano a casa così. La strada fu per qualche momento piena di gente e di rumore. Poi tutto tacque e non vedemmo più che la figura stanca del Direttore che s'allontanava".

Federica De Castro

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