In una lunga lettera rivolta ai lavoratori, ma soprattutto agli imprenditori, l'arcivescovo di Torino, mons. Roberto Repole, parla della imminente festa del Primo Maggio e di San Giuseppe Lavoratore, affrontando una profonda riflessione sul difficile mestiere di chi fa impresa nel mercato globale, mettendo al centro il problema delle tante fabbriche che chiudono nell'area torinese.
Il grazie di Repole a chi fa impresa
"Il destino dei lavoratori e delle loro famiglie in questa stagione così delicata dipende anche dal successo degli imprenditori: per questo la Chiesa sostiene con gratitudine ed anche prega per tutti coloro che abbracciano l’attività di impresa investendo risorse e spendendo la propria intelligenza, il proprio coraggio e la fantasia", sottolinea Repole.
"L’avventura delle imprese, anche quella delle industrie multinazionali con sede a Torino, è anche l’avventura di un territorio, che offre alle aziende la risorsa più importante: i lavoratori. Oggi va detto con forza che i lavoratori non sono separabili dagli interessi delle aziende: sono gli uomini e le donne che, con il loro impegno, con la loro vita, con la vita delle loro famiglie, rendono possibile la ricchezza e l’esistenza stessa delle aziende - aggiunge ancora l'arcivescovo di Torino - Desidero esprimere grande riconoscenza agli imprenditori che combattono per mantenere vive le proprie aziende".
I troppi fallimenti dell'ultimo periodo
"Faccio anche osservare che il complesso dei lavoratori di un territorio rappresenta il mercato cui le aziende rivolgono i loro prodotti e servizi: se questo mercato mantiene la sua capacità di spesa e consumo saranno le aziende stesse a beneficiarne. Purtroppo nell’area torinese è capitato e continua a capitare a tante persone di perdere il posto di lavoro in aziende che non riescono più a restare sul mercato e falliscono - aggiunge ancora Repole - Ciò che non dovrebbe mai accadere, agli operai e agli impiegati, è perdere il lavoro in aziende che godono di buona salute e stanno producendo ricchezza e profitto, eppure non si accontentano: queste aziende, spinte sovente da logiche esasperate di ricerca di sempre maggiori guadagni, tagliano i posti di lavoro o li trasferiscono altrove".
"Non si chiudono aziende solo per aumentare i profitti"
"È questa, tristemente, una dinamica presente nel mercato internazionale, a volte guidata dalle valorizzazioni dei titoli in borsa e talvolta anche dalla ricerca di premialità per i top manager, che spesso porta anche aziende sane, con buoni profitti, a chiudere fabbriche - è la dura accusa lanciata dall'arcivescovo di Torino - Se la scelta di abbandonare il nostro territorio può essere compresa quando è necessaria per la sopravvivenza dell’azienda, non mi pare possa essere accettabile quando risponde alla logica di moltiplicare in modo esasperato i profitti: credo che esistano limiti all’accumulo della ricchezza, oltre i quali non è legittimo sacrificare la vita delle persone".
"Esistono limiti all'accumulo della ricchezza"
"Ecco, su tutto questo vorrei che riflettessimo insieme e molto concretamente – imprenditori, lavoratori e loro rappresentanze, classe politica – per concorrere alla crescita del nostro amato territorio. Come Vescovo, leggo il presente alla luce del Vangelo che chiede di mettere il bene dell’uomo, che è figlio di Dio, al centro di ogni nostra scelta, anche delle scelte economiche", conclude mons. Repole.
"Dietro alle dinamiche estreme dei mercati mi sembra di leggere una visione povera della persona umana, sacrificata alla logica del denaro. È una visione che non colmerà mai il nostro cuore, neppure quello di chi muove le leve economiche e un giorno si domanderà l’uso che ne ha fatto. Tutti, ciascuno di noi nel suo ruolo, ci domanderemo un giorno se abbiamo portato frutti buoni".