Continuano a nascere dal fuoco, tra i colpi sordi sull’incudine, nella borgata Lantaret a Luserna San Giovanni nonostante non siano più usate per schiantare piante o nemici. Sono numerosi, infatti, i collezionisti delle beidane, armi da taglio derivate da un attrezzo contadino simile ad un machete, che la tradizione vuole brandissero le milizie valdesi arruolate nell’esercito sabaudo durante la battaglia al Colle dell’Assietta (1747).
“Non è provato che fossero state utilizzate proprio in quello scontro, ma nei bandi di arruolamento in quel periodo si chiedeva di presentarsi alla chiamata provvisti di ‘falcetti’ ed altre cose. Possibile quindi che l’abbiano portata con sé come arma” racconta Pino Costa. È lui il fabbro che nella sua fucina di Lantaret continua a forgiare le beidane: “D’altronde non è facile trovare nei documenti traccia del suo utilizzo – continua – anche perché il termine ‘beidana’ ha cominciato a circolare solo in tempi più recenti”. È infatti in un testo del 1889 che appare la parola per la prima volta.
Oggi tuttavia il termine è entrato nel linguaggio comune e le ‘beidane’ della Val Pellice vengono cercate dai collezionisti di tutto il mondo: “Ne produco circa quindici all’anno ma a volte anche di più – rivela Costa –. Me ne hanno chieste dall’America e dalla Germania. Qualche tempo fa a Gorizia una delle mie è stata scambiata per un esemplare del Settecento”.
Recentemente un cliente è arrivato a Grenoble con una richiesta precisa: “Al posto del traforo a forma di cuore, presente in buona parte degli esemplari, lui vuole una luna”. Le decorazioni sulla lama e il caratteristico ricciolo sono gli elementi che rendono inconfondibili le beidane. Tuttavia non sempre il traforo è a forma di cuore, nemmeno negli esemplari storici: Costa ne mostra uno ritrovato in Val Vermenagna – al confine tra Cuneese e Francia – dove la sagoma è quella della croce dell’ordine Mauriziano. “Ormai si parla di ‘beidana valdese’ perché in questo territorio ne sono stati trovati tanti esemplari, ma in realtà era diffusa anche altrove” sottolinea. Eppure l’ipotesi che si tratti di ‘attrezzo etnico’ è proprio ciò che lo ha affascinato a fine degli anni Settanta, quando abitava a Torino. “Mi capitò tra le mani un articolo del bollettino dell’Accademia di San Marciano scritto da Giorgio Dondi che fu il primo a intuire che la beidana non era un attrezzo qualsiasi ma un vero e proprio ‘attrezzo etnico’ – racconta –. Risvegliò quindi i miei ricordi perché nel ‘mondo valdese’ ancora i nostri nonni l’avevano utilizzata mentre in altri posti è stata abbandonata”.