Passeggiare per le strade di Barriera di Milano e trovarsi davanti un’immagine che fa riflettere. Quest’anno il tema della 10° edizione di Opera Viva Barriera di Milano, il Manifesto, il progetto sul pre-esiste di Alessandro Bulgini, è dedicato al camouflage. Uno spazio urbano di 6x3 metri in Piazza Bottesini diventa un manifesto di pubblico dissenso nascosto in piena vista. Il quinto appuntamento è il 5 settembre alle 18:30 con l’opera What are those? (Borders series) dell’artista Cocis Ferrari.
Il bosco è il topos dell’altrove. È la selva oscura dell’Inferno di Dante, funesta e pericolosa, simbolo di smarrimento interiore. È la foresta in cui l’Orlando furioso, accecato d’amore, perde il senno. Un labirinto minacciato da bestie feroci, briganti o malfattori; teatro di grandi avventure e passioni, come il fol amor di Tristano e Isotta. C’è anche il bosco fiabesco dei fratelli Grimm, un luogo carnivoro dove i bambini vengono tentati dal lupo, dall’orco, dalla strega. Tuttavia, anche se spesso popolato da creature malvagie e inquietanti, il bosco può essere un rifugio, un’occasione di
riscatto o salvezza. Più in generale, l’ingresso nel bosco segna un passaggio, un rito di
iniziazione. Quello di Cocis Ferrari appare in effetti come un invito a varcare la soglia, ad addentrarsi nell’ignoto o ad allontanarvisi, affascinante e repulsivo proprio come il bosco. Il camouflage dell’artista è parte di una serie fotografica sulla natura, particolarmente evocativo: “Borders”, in italiano plurale di “confine”, “margine”, “limite”, “frontiera”. Una parola difficile da interpretare se avulsa ed estrapolata dal suo contesto e che si presta a molteplici letture. Ed è proprio questo l’intento dell’artista, quello di evocare l’ambiente, non rappresentarlo; decontestualizzare lo spazio affinché esso diventi qualsiasi luogo.
Il titolo contiene tra l’altro un interrogativo diretto allo spettatore: what are those?, cos’ha davanti a sé? I confini tracciati da Cocis Ferrari non sono il risultato di geometrie particolari o linee rette che aiutano a orientarsi. Lo sguardo piuttosto si posa su margini, appigli invisibili, su un vuoto fitto di verde misterioso, di ombre, di foglie e di frutti. Può essere rifugio, tana, nascondiglio, da cosa o da chi? E osservando bene la folta e indistinta vegetazione, i frutti che offre sono commestibili o
alludono a qualcos’altro? La vista non è più un senso ma un mezzo per sentire. Quella divisione tra qui e lì che desta curiosità o lascia esitanti sulla soglia è percettiva, è la chiave di accesso a un’altra dimensione.
Nel paesaggio urbano, dominato da segnaletica, da un continuo viavai di mezzi e passanti talvolta distratti, appare un’immagine di natura incontaminata. Il bosco diventa così un interlocutore, trascende la sua natura vegetativa e si trasforma in uno spazio mentale, una persona da esplorare nei minimi dettagli. Questo gioco ambivalente di vuoti e pieni, di luci e ombre, di ingresso e uscita invitano chi osserva all’introspezione, ad allenare lo sguardo per cogliere quei confini, tanto immaginifici quanto concreti, che danno il titolo all’opera.