Dorata, sottile, profumata d’olio e pepe: la farinata è molto più di una semplice torta salata. È un simbolo gastronomico del Mediterraneo, profondamente legato all’identità ligure e toscana, oggi protagonista in pizzerie, mercatini e street food internazionali. Dietro ogni fetta croccante si cela un racconto affascinante, dove la storia sfuma nel mito e le origini si perdono tra battaglie navali, tempeste e influenze arabe.
Secondo la leggenda più famosa, la farinata sarebbe nata nel 1284, in seguito alla vittoria della Repubblica di Genova sulla flotta pisana nella battaglia della Meloria. Durante il viaggio di ritorno, una violenta tempesta colpì le galee genovesi. Acqua salata, barili d’olio e sacchi di farina di ceci si mescolarono nelle stive, creando un impasto cremoso. I marinai affamati lasciarono asciugare al sole quella strana poltiglia; il giorno dopo la assaggiarono e scoprirono un sapore sorprendente. Una volta rientrati a terra, tentarono di replicarla… cuocendola in forno. Il risultato fu talmente apprezzato che, per deridere gli sconfitti, fu ribattezzata con sarcasmo “l’oro di Pisa”. Questa non è l’unica versione leggendaria. Un’altra attribuisce l’invenzione della farinata a Ulisse, durante l’assedio di Troia, quando le provviste scarseggiavano. Il re di Itaca avrebbe fatto mescolare farina di ceci e olio negli scudi dei suoi guerrieri, cuocendoli sul fuoco. C’è poi chi lega la farinata all’influenza saracena in Liguria. Secondo questa teoria, il termine “testo” (il tipico tegame basso in rame stagnato in cui si cuoce la farinata) deriverebbe dalla parola araba “testooh”, che significa appunto scudo.
Al di là dei racconti mitologici, le prime testimonianze scritte risalgono al 1477, quando un decreto genovese regolamentò la preparazione della farinata – allora chiamata scripilita – obbligando l’uso di olio di alta qualità. Il nome deriva probabilmente dal suono “scoppiettante” che l’impasto produce durante la cottura.
La farinata, nel tempo, ha varcato i confini italiani trasformandosi e adattandosi alle culture locali. In Francia, è nota come socca (soprattutto a Nizza), a Gibilterra, prende il nome di calentita, in Marocco, diventa caliente, con l’aggiunta di uova, mentre in Argentina e Uruguay è una vera istituzione nazionale, chiamata fainá, tanto da avere una giornata celebrativa dedicata, il 27 agosto. Anche in Italia, cambia nome da regione a regione: cecina o torta di ceci in Toscana, fainà de ceixei in Liguria, belecauda in Piemonte, fainò a Carloforte, fainè in Sardegna. Tradizionalmente, in alcune zone si consuma il 1° novembre (Ognissanti) e a Capodanno. Oggi la troviamo in mille varianti regionali, arricchita con rosmarino, cipolle, salsiccia, borragini o origano. Alcune versioni sostituiscono l’acqua con latte o brodo vegetale, aggiungendo morbidezza e sapore.
Qualunque sia la sua origine, la farinata è una fetta di Mediterraneo che unisce la gente da secoli, con pochi ingredienti e una lunga storia da assaporare.
La ricetta della tradizione genovese
Ecco come prepararla secondo la versione classica:
Ingredienti:
- 350 g di farina di ceci
- 1 litro d’acqua
- 12 g di sale
- Olio extravergine d’oliva
Preparazione:
- In una ciotola capiente, mescolare farina di ceci, acqua e sale fino a ottenere un composto omogeneo.
- Coprire e lasciare riposare per almeno 4-10 ore.
- Versare il composto in una teglia bassa ben unta con olio extravergine.
- Mescolare leggermente per amalgamare l’olio.
- Cuocere in forno a 250–270° C fino a doratura.
- Servire calda, con una spolverata di pepe nero.