Definire "mattanza" la situazione degli incidenti sul lavoro in Piemonte non è un'iperbole giornalistica, ma la cruda fotografia di una realtà drammatica, restituita dalle fonti sindacali e dalle cronache quotidiane.
La regione, e in particolare l'area metropolitana di Torino, si conferma un epicentro di questa emergenza nazionale, un territorio dove il diritto alla sicurezza viene troppo spesso sacrificato sull'altare della negligenza, della fretta e di logiche economiche distorte.
Cronaca di una strage annunciata: gli ultimi episodi a Torino
Per afferrare la dimensione tangibile di questa crisi, è sufficiente guardare alla cronaca più recente. La giornata del 25 gennaio 2025 si è trasformata in un emblema nefasto per la città di Torino, macchiata da due distinti incidenti mortali. In mattinata, nel quartiere Barriera Milano, un imprenditore edile di 57 anni è precipitato nel vuoto dal quarto piano di un edificio. Stava eseguendo lavori di ristrutturazione su un balcone quando la ringhiera, per cause ancora in fase di accertamento, ha ceduto di schianto.
L'uomo è stato ritrovato tra le macerie, ogni tentativo di soccorso si è rivelato purtroppo vano. Poche ore dopo, un'altra tragedia si è consumata nel luna park allestito alla Pellerina. Un operaio di 39 anni, Eugen Daniel Vasiliu, è stato vittima di un infortunio fatale mentre era impegnato nel montaggio delle giostre. Trasportato d'urgenza in ospedale, è deceduto poco dopo il suo arrivo. Due storie diverse, due contesti lavorativi differenti, uniti da un epilogo identico e inaccettabile.
I numeri del dramma: un'analisi statistica regionale e nazionale
Questi episodi non sono casi isolati, ma le punte di un iceberg la cui massa è descritta da cifre allarmanti. I dati diffusi dalla CGIL Torino, relativi al 2024, dipingono un quadro desolante: in Piemonte si sono registrati 67 infortuni mortali, quasi la metà dei quali, ben 31, nella sola provincia di Torino. Tradotto in una media sconcertante, significa quasi sei lavoratori che perdono la vita ogni mese sul suolo regionale, e circa tre nell'area torinese. Un tributo di vite umane che rende i cantieri e i luoghi di lavoro scenari di un rischio perenne.
Il quadro piemontese si inserisce in un contesto nazionale altrettanto preoccupante. Un report della CISL, basato su dati INAIL, evidenzia una tendenza inquietante per l'inizio del 2025: a fronte di una lieve diminuzione delle denunce di infortunio complessive (-1,2% a gennaio rispetto all'anno precedente), si registra un'impennata drammatica dei casi mortali, con un aumento del +36,4%.
Anche gli incidenti in itinere, quelli che avvengono nel tragitto casa-lavoro, mostrano un incremento dei decessi del 16,7%. Il bilancio complessivo del 2024 a livello nazionale si è chiuso con 1.077 morti bianche, quasi tre al giorno: una statistica che testimonia una ferita profonda nel tessuto sociale e produttivo del Paese.
Dietro le cifre: le falle del sistema e il lavoro sommerso
Ma cosa si nasconde dietro questa contabilità del dolore? Spesso, si celano criticità sistemiche, illegalità e una cultura della sicurezza del tutto inadeguata. Il caso di Ramadan Ragarb Alaa Abdelkarim, operaio di nazionalità egiziana deceduto a Leinì dopo una caduta da dieci metri di altezza, è paradigmatico. Come denunciato da Sarah Pantò della segreteria CGIL Torino, non si tratta solo di un incidente, ma di "un'altra delle tante tragedie che erano evitabili".
Le cause sono sempre le stesse: sicurezza ignorata, regole eluse, responsabilità scaricate lungo la catena dei subappalti. A questo si è aggiunta l'atrocità dell'abbandono: i colleghi, invece di chiamare i soccorsi, lo hanno trasportato in ospedale fingendo un incidente domestico, un tentativo scellerato di occultare un infortunio sul lavoro.
Questo episodio getta una luce sinistra sul vasto e oscuro mondo degli "infortuni sommersi". Si tratta di tutti quegli eventi lesivi che non vengono denunciati all'INAIL perché legati a rapporti di lavoro irregolare, per la paura di ritorsioni da parte del datore di lavoro o per un malinteso senso di protezione nei suoi confronti. È una realtà che affligge le fasce più deboli del mercato del lavoro e che rende le statistiche ufficiali, per quanto gravi, solo una stima parziale del fenomeno. Ad aggravare il quadro, i dati indicano una particolare vulnerabilità per i lavoratori più anziani, con la fascia d'età superiore ai 55 anni che risulta tra le più colpite da eventi lesivi.
L'appello alla responsabilità: la richiesta di un "nuovo patto sociale"
Di fronte a questa emergenza, le parti sociali levano un coro unanime per chiedere un'inversione di rotta radicale. Non bastano più i messaggi di cordoglio dopo ogni tragedia. La CGIL invoca un vero e proprio cambio di mentalità culturale, accompagnato da un potenziamento dei controlli e dall'applicazione di pene severe per chi viola le normative. L'obiettivo è scardinare la logica per cui la sicurezza è vista come un intralcio o un costo superfluo.
Al contrario, essa andrebbe concepita come un investimento sul valore stesso dell'azienda e del suo marchio, un'evoluzione virtuosa supportata peraltro da strumenti concreti come il bando ISI INAIL, che mette a disposizione contributi a fondo perduto proprio per le imprese che decidono di investire attivamente per elevare i propri standard di sicurezza. La sola esistenza di aiuti di questo genere smantella completamente l'alibi del “costo”, trasformando la sicurezza in un'opportunità di crescita e modernizzazione, oltre che in un dovere etico irrinunciabile.
Sulla stessa linea si muove la CISL, che nel suo report sollecita la creazione di un "nuovo patto sociale" mirato a proteggere la salute e la vita dei lavoratori. Una grande alleanza strategica che deve vedere protagonisti il Governo, l'INAIL, l'Ispettorato Nazionale del Lavoro, le altre istituzioni pubbliche, le aziende e le organizzazioni sindacali. Il principio cardine di questa iniziativa è chiaro e non negoziabile: la sicurezza non è un costo, ma un valore imprescindibile per la dignità della persona e per la salute stessa del nostro sistema produttivo e sociale.
Gli incidenti sul lavoro in Piemonte sono lo specchio di una crisi che intreccia responsabilità individuali e collettive, negligenze e falle strutturali. Le cifre e le cronache non descrivono fatalità ineluttabili, ma eventi che si sarebbero potuti e dovuti evitare. È tempo di passare dalle parole ai fatti, trasformando l'indignazione in azioni concrete e coordinate, perché nessun lavoratore debba più pagare con la vita il proprio diritto al lavoro.
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