Nel cuore dell’Ottocento europeo, mentre le grandi capitali culturali assistevano al tramonto del Romanticismo, un nuovo sguardo si faceva largo sulle tele degli artisti: più lucido, più onesto, più vicino al vero. Era il Naturalismo, una corrente che rigettava l’idealizzazione per abbracciare la realtà, con i suoi chiaroscuri e la sua quotidianità concreta. Nata in Francia come evoluzione del Realismo, questa sensibilità si diffuse presto in tutta Europa, trovando in Italia un terreno fertile e — forse inaspettatamente — due centri vitali nel Nord-Ovest: la Liguria e il Piemonte.
Non solo crocevia geografico, ma anche artistico, questo angolo d’Italia seppe raccogliere e reinterpretare le suggestioni d’oltralpe, anche grazie alla vicinanza con la Costa Azzurra, già allora fucina internazionale di creatività e sperimentazione. Da Genova a Torino, passando per i monti del Canavese e i borghi marinari del Ponente ligure, il Naturalismo si declinò in accenti originali, riflettendo la luce e le storie dei luoghi che lo ospitavano.
In Italia, il terreno per il Naturalismo era stato preparato da movimenti realistici già attenti al quotidiano: le scene di genere, la pittura sociale, le narrazioni contadine. Ma fu il dialogo con l’Europa a dare nuovo slancio. Dalla Scuola di Barbizon al Realismo francese, passando per la pittura nordica più introspettiva, gli artisti italiani trovarono spunti per superare l’accademismo e abbracciare una pittura “dal vivo”, en plein air, spesso lontano dagli atelier urbani.
La Costa Azzurra, in particolare, svolse un ruolo non meno importante: era una tappa obbligata per artisti in cerca di ispirazione e un ponte naturale per gli scambi tra Francia e Italia. Non è azzardato ipotizzare che molti pittori liguri e piemontesi abbiano tratto beneficio da soggiorni in Provenza o abbiano incrociato colleghi stranieri attivi sulla Riviera.
La luce della Liguria
A Genova, il Naturalismo trovò interpreti originali. Se Nicolò Barabino (genovese) resta legato a una pittura più accademica, la vera fucina innovativa fu rappresentata dalla Scuola Grigia, così chiamata per la gamma cromatica sobria e smorzata. Molti artisti genovesi come Ernesto Rayper, Antonio Varni, Alberto Issel (ma anche lo scultore piemontese Giulio Monteverde) scelsero di rappresentare la Liguria più autentica: non le marine idealizzate, ma i vicoli umidi, i porti operosi, i paesaggi collinari colti nella luce sfumata del mattino.
In questi dipinti si percepisce la specificità ligure: la verticalità delle montagne che cadono a picco sul mare, la vita minuta dei pescatori, i terrazzamenti coltivati a fatica. La tecnica si affina, con un’attenzione crescente alla luce e all’atmosfera, in un equilibrio tra resa naturalistica e sentimento del paesaggio. Le affinità con la Costa Azzurra sono tangibili: i colori, le geometrie delle coste, l’atmosfera sospesa tra terra e mare. La vicinanza geografica facilitava scambi e contatti, anche se spesso informali, tra artisti italiani e francesi.
Il Piemonte e la lirica del paesaggio
Mentre la Liguria restituiva il battito quotidiano della vita marinara, il Piemonte offriva una visione più ampia e distesa del Naturalismo. A Torino, centro dinamico e attento alle novità europee, si affermò la figura poetica di Antonio Fontanesi, maestro di un paesaggismo emotivo, quasi musicale. La sua pittura suggeriva più che descrivere, rivelando la tensione tra realtà e sentimento che il Naturalismo sapeva accogliere senza forzature.
Ma ancor più interessante fu l’esperienza della Scuola di Rivara, un cenacolo di pittori che a partire dal 1860 si ritrovavano nel Canavese per dipingere dal vero, immersi nella natura. Guidati dal torinese Carlo Pittara, questi artisti — tra cui l’astigiano Federico Pastoris e i torinesi Vittorio Avondo e Ernesto Bertea — portarono avanti un naturalismo senza dogmi, fortemente antiaccademico. Al gruppo si unirono anche i liguri Ernesto Rayper e Alberto Issel, e personalità straniere come lo spagnolo Serafino De Avendaño e il portoghese Alfredo d’Andrade, testimoni di una rete culturale che travalicava i confini nazionali.
Il paesaggio piemontese — dalle valli alpine ai campi coltivati, dalle borgate rurali alle nebbie della pianura — offriva una tavolozza naturale per raccontare la vita contadina e l’inizio della modernità. In questa pittura si avverte la transizione di un mondo, con un piede ancora nella tradizione e l’altro già proiettato verso i mutamenti sociali e industriali.
Il Naturalismo in Valle d’Aosta: un riflesso alpino del vero
Anche senza una scuola pittorica formalmente riconosciuta, la Valle d’Aosta ha saputo ritagliarsi un ruolo nel panorama del Naturalismo italiano. I suoi paesaggi maestosi, la vita contadina ancora intatta e la luce mutevole delle Alpi hanno attratto, fin dall’Ottocento, numerosi artisti piemontesi e non solo, affascinati da un territorio capace di ispirare una pittura più autentica e sincera.
Tra i primi a coglierne il potenziale fu il torinese Edoardo Perotti, che nella metà degli anni Quaranta dell’Ottocento rese protagonista la Valle in diverse opere esposte alle Promotrici. I suoi dipinti, nati da escursioni personali, segnano un distacco dal paesaggio convenzionale, aprendo la strada a una visione più atmosferica e “dal vero” che anticipa il naturalismo lirico di Antonio Fontanesi.
Qualche decennio dopo, un altro torinese, Ernesto Bertea, influenzato dalla Scuola di Barbizon, trova nella Valle d’Aosta uno scenario ideale per dipingere en plein air. L’opera In Val d’Aosta, presentata a Torino nel 1880, ne è un chiaro esempio, carica di quella sensibilità per la natura e la luce che contraddistingue il Naturalismo.
Anche il milanese Leonardo Bazzaro riserva alla regione alpina uno spazio importante nella sua produzione degli anni Ottanta e Novanta, tra vedute intime, rustiche e cariche di realismo.
Infine, pur al di fuori del campo pittorico, va ricordato Pierre-Louis Vescoz, naturalista e cartografo valdostano, che nel 1888 venne premiato per i suoi plastici realistici del massiccio del Monte Bianco: un’altra testimonianza, questa volta scientifica, di un approccio fedele al vero.
La Valle offriva, del resto, tutto ciò che un pittore naturalista poteva desiderare: vallate selvagge, villaggi di pietra, contadini al lavoro, cieli in mutamento. Una geografia “sorella” del Piemonte, ma con un carattere tutto suo.
Un'eredità duratura
Il Naturalismo, pur essendo spesso considerato una stagione “di passaggio”, ha lasciato un’impronta profonda e duratura sull’arte italiana. La sua attenzione per la luce, le atmosfere e la verità del quotidiano ha aperto la strada al Divisionismo, che ne ha raccolto l’eredità per condurla verso nuove sperimentazioni visive e simboliche. E molte delle sue intuizioni — dal paesaggio vissuto al racconto delle piccole cose — hanno continuato a risuonare lungo tutto il Novecento, in forme diverse ma coerenti.
Oggi, quel mondo pittorico torna a emergere con forza, grazie a un rinnovato interesse da parte di studiosi, musei e mostre che riscoprono figure troppo a lungo marginalizzate. Le loro tele, dense di silenzi, gesti umili e paesaggi veri, ci restituiscono il volto di un’Italia che imparava a guardarsi senza filtri.
In questo contesto, Liguria e Piemonte non furono semplici comparse: furono laboratori vitali di idee e visioni, capaci di accogliere gli influssi internazionali e restituirli in una pittura profondamente radicata nei luoghi, nelle stagioni, nelle persone. Il loro contributo al Naturalismo è oggi un patrimonio da riscoprire: un racconto fatto di luce, di terra e di un’etica dello sguardo che continua a parlarci, con la forza silenziosa delle cose autentiche.
Ed è proprio in questi luoghi — dalle vallate della Valle d’Aosta alle colline del Piemonte, da Torino ad Asti, alla costa luminosa di Genova, fino al passaggio in Costa Azzurra — che il nostro gruppo editoriale ha scelto di mettere radici.
Siamo orgogliosi di operare nei territori che hanno ispirato e visto nascere alcuni dei protagonisti di questa stagione artistica, certi che raccontare il presente significhi anche valorizzare la memoria viva di ciò che ci ha preceduto.