Economia e lavoro - 15 agosto 2025, 11:54

“L'uva Spina": il sogno di Serena che profuma di seconde possibilità

Storia di una donna, di una famiglia e di un home restaurant nato tra stampelle, burocrazia e passaparola. Siamo a Torre Pellice

C’è chi la chiama tenacia, chi testardaggine. In montagna la riconosci subito: è quel passo breve e costante che ti fa arrivare comunque in cima. Così è andata per Serena, che racconta «mi piace partire dall’inizio» e dall’inizio riparte davvero: una casa sistemata pezzo per pezzo con il marito, un lavoro in fabbrica, poi il richiamo della cucina. Bar, mense, cucine serali, tavoli serviti e tanta gavetta: «Ho collaborato un po’ in tutti i posti dove c’era da cucinare o da servire», dice. Nel frattempo la vita di famiglia si allarga: il matrimonio, la ristrutturazione, la nascita della figlia. E qualche porta che si chiude: «Quando sono rimasta incinta hanno aspettato la scadenza del contratto. Poi sono rimasta a casa».

A volte la svolta arriva quando sei ferma. Un infortunio alla schiena, tre mesi con le stampelle, il letto come punto fisso. «In quei tre mesi ho scoperto quello che poi sarebbe stato», confida. Lo sguardo che si allarga dalle pareti della stanza allo schermo del telefono: articoli, racconti, foto di home restaurant; la porta che si apre su un’idea semplice e rivoluzionaria insieme — cucinare a casa propria, accogliere poche persone, farle stare bene.

«Sapevo già della resistenza dell’home restaurant, ma parlarne con chi ne sapeva di più voleva dire prendere batoste. Mi dicevano: “Non si può fare”».

Il sogno c’è, i “però” pure. Una bimba piccola da gestire senza aiuti disponibili, orari del marito difficili («arriva il sabato pomeriggio, la domenica riparte»), e una burocrazia che non è fatta per chi ha fretta. Poi succede l’imprevedibile: arriva il Covid. Un tempo sospeso che, per lei e suo marito, diventa organizzazione, incastri, studio delle regole. «Io ho messo più o meno un anno a capire come fare ad aprire, perché non è semplice come sembra», ammette. Nel mezzo pure qualche tunnel sbagliato: qualcuno la indirizza verso l’“agriturismo”, pratica lunga e non adatta alla sua idea; altri le ripetono che “tanto è come aprire un locale”. Non lo è. Per gli home restaurant ci sono adempimenti specifici: comunicazioni al Comune (la SCIA), capienza limitata, orari, menù e preparazioni calibrate.

«Sembrava non finisse mai: ogni volta c’era un foglio in più, una telefonata in più. Ma mio marito mi ha detto: andiamo per passi, ogni mese una cosa».

Alla fine il varco si apre. C’è una data cerchiata in rosso: il giorno del compleanno. «Volevo inaugurare proprio allora. È stato il mio regalo», sorride. Nasce così “L’UVA SPINA”. Il nome, cercato a lungo: desiderava un richiamo ai piccoli frutti, “qualcosa di bosco”. Quelli più gettonati erano già in giro; lei sceglie una parola che suona dolce e riconoscibile, senza essere scontata. Una firma piccola, come piccolo è il suo progetto: un tavolo di montagna, massimo dodici coperti per legge, la casa che si fa sala, la cucina che profuma di casa.

La carta parla il linguaggio del posto: antipasto, primo, secondo, contorno. Nessun pesce — «qui non è terra di mare» — e tanta tradizione con tocchi personali. L’innovazione è gentile: la stessa ricetta con un frutto che dà freschezza, un impiattamento curato ma mai “spaventoso”. Prezzi bassi, margini stretti: «Ci guadagno poco, ma voglio che la gente esca soddisfatta». Il venerdì è il giorno dei piatti “speciali” della zona: bagna cauda, bollito e le grandi certezze della cucina piemontese di casa. Il fine settimana resta più libero, per chi preferisce un menù “normale”. Per il resto, si ragiona su prenotazione: all’apertura ha indicato al Comune la disponibilità nell’arco della settimana proprio per poter dire sì a un compleanno di mercoledì o a una ricorrenza infrasettimanale. Pochi posti, tanto ascolto.

«Le persone entrano in casa tua. Deve piacerti davvero: è lavoro, ma è soprattutto accoglienza».

La cosa sorprendente del passaparola è che non ha confini. L’Uva Spina si fa conoscere tra i vicini — «qui apprezzano, ti conoscono, si fidano: viene l’amico, poi il cugino» — e anche oltre. Il territorio aiuta: nel circondario ci sono B&B, turisti di passaggio, camminatori. Ma è la tavola a fare il resto. «Mi è capitata una storia bellissima: due coppie, una dall’Australia e una dal Regno Unito, amici d'infanzia di due persone che si erano conosciute anni fa. Hanno deciso di ritrovarsi ogni anno, girando una settimana nel mondo. Quell’anno sono finiti qui». Lei prende il telefono per scattare una foto ricordo; loro la fermano: “Aspetti, prima dobbiamo scrivere una nota, per ricordare che stasera abbiamo cenato qui, da voi”. «È stato emozionante: entrare nelle storie degli altri è un privilegio», dice piano.

Dietro il calore, ci sono regole e spese reali. Per aprire ha cambiato la cucina: piano di lavoro idoneo, cassetti in acciaio, attrezzature lavabili, frigoriferi aggiuntivi per la conservazione corretta. C’è un tetto di presenze da non superare, giorni e orari da rispettare, la tracciabilità di ciò che si prepara. «Non vuole essere il lavoro principale: è un secondo lavoro che affianca il resto e sta in casa, compatibile con la famiglia», ripete. Il bilancio è lucido: «Non è un’entrata enorme. Serve rispettare i limiti e le regole. Ma quando un cliente va via felice…».

«Se qualcuno vuole farlo? Dico: sì, ma con determinazione. Non è come sembra in TV. E bisogna che la famiglia sia d’accordo, perché la casa diventa anche posto di lavoro».

La famiglia, appunto. Il marito che la sostiene («senza di lui, in certi momenti avrei mollato»), la figlia con i suoi impegni, gli anziani di casa da accompagnare: «Capita che la domenica loro escano a fare una passeggiata e io preparo. È una scelta condivisa. Se diventa motivo di lite, il sogno si spegne». Anche per questo L’Uva Spina è modulare, elastica: si apre quando serve, non forza le stagioni, accompagna la vita invece di stravolgerla È un lavoro che sta tra le mani e nel cuore.  Per Prenotazioni 353 4365944 oppure https://www.facebook.com/UvaSpinaHomeRestaurant

Oggi, a qualche anno dall’inaugurazione, lei lo racconta con una serenità nuova: «Più vado avanti, più trovo soddisfazione. È diventato quello che desideravo». La montagna la ripaga a modo suo: col tempo lungo, con le facce che ritornano, con le recensioni che dicono “ci siamo sentiti a casa”. E con la misura giusta: dodici posti, un venerdì speciale, le altre sere quando c’è una ragione per festeggiare.  Il finale è una stretta di mano franca, di quelle che in valle valgono più di una firma: «Ho voluto essere onesta in tutto, anche per non rischiare. Ho studiato, ho chiesto, ho sbagliato, ho rifatto. Ma oggi so che L’Uva Spina è la mia creatura: piccola, autentica, di famiglia». Il resto lo fa il profumo che arriva dal forno, una tovaglia stirata bene, la sedia tirata al tavolo come si fa quando si aspetta qualcuno caro.

Perché certi sogni, in montagna, non hanno bisogno di clamori: bastano dodici posti, una porta che si apre e qualcuno che ti saluta chiamandoti per nome. Per Prenotazioni               353 4365944 oppure https://www.facebook.com/UvaSpinaHomeRestaurant

Cinzia Dutto, scrittrice cuneese,  ama definirsi una cacciatrice di storie, racconta di storie persone speciali, scelte differenti, montagna e buon vivere.

Gira la provincia alla ricerca di vite uniche e particolari.

Cinzia ha un profilo instagram https://www.instagram.com/cinzia_dutto_fanny e un sito dove puoi trovare il riferimento a tutte le sue pubblicazioni www.cinziadutto.com

Cinzia Dutto