Un nuovo studio coordinato dal prof. Matteo Spagnolo del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino, appena pubblicato su Nature Communications, propone una possibile svolta nel monitoraggio dei vulcani ricoperti da ghiacciai: questi ultimi non sarebbero soltanto un ostacolo logistico per le attività di rilevamento, ma i loro cambiamenti potrebbero diventare nuovi e preziosi precursori di eruzioni future.
La ricerca ha analizzato su scala globale 307 vulcani attivi e 40.667 ghiacciai localizzati sulle loro sommità o nelle immediate vicinanze, confrontando le differenze di quota tra ghiacciai “vulcanici” e ghiacciai circostanti. I risultati mostrano che, nell’80% dei casi, i ghiacciai situati direttamente sopra i vulcani sono mediamente collocati a quote più elevate rispetto a quelli limitrofi.
Questa anomalia sarebbe legata al calore emesso dal sistema vulcanico: la presenza di camere magmatiche e gas ad alta temperatura, inclusi vapor d’acqua e anidride carbonica, provoca infatti un riscaldamento della superficie e un maggiore scioglimento del ghiaccio, che viene confinato a quote più alte rispetto ai ghiacciai circostanti che non risentono dell’effetto vulcanico.
“Poiché la temperatura dei vulcani tende ad aumentare man mano che ci si avvicina a un’eruzione”, spiega il prof. Spagnolo, “è plausibile che anche i ghiacciai reagiscano con un ritiro ancora più marcato. Monitorare la loro quota media potrebbe quindi diventare un nuovo strumento per migliorare le previsioni eruttive”.
Il monitoraggio dei vulcani si basa già sull’analisi di diversi precursori – dalle deformazioni del suolo ai cambiamenti delle emissioni di gas in superficie – nessuno dei quali, preso singolarmente, è sufficiente per predire con certezza un’eruzione. L’aggiunta del comportamento dei ghiacciai come ulteriore indicatore potrebbe rivelarsi strategica, soprattutto in quelle aree del mondo dove vulcani e ghiacciai convivono e dove spesso monitoraggi diretti sul posto non sono possibili per motivi economici o logistici.
Nel mondo circa il 20% dei vulcani è ricoperto da ghiacciai e le loro eruzioni sono particolarmente pericolose. “La storia ci ricorda quanto questa combinazione possa essere devastante: nel 1985, il vulcano Nevado del Ruiz in Colombia causò una colata di fango e rocce, innescata dallo scioglimento improvviso dei ghiacci sommitali, che travolse intere comunità e uccise oltre 25.000 persone”, prosegue Spagnolo.
Grazie a un approccio comparativo basato su banche dati internazionali e tecniche avanzate di analisi, il team di ricerca ha potuto isolare l’effetto del vulcano da quello del clima circostante, limitando lo studio a un raggio di 40 km attorno a ciascun edificio vulcanico. Questo ha permesso di dimostrare che le anomalie osservate nei ghiacciai sono legate direttamente all’attività vulcanica e non a fattori climatici.
Il lavoro del gruppo guidato dal prof. Spagnolo apre la strada a un nuovo capitolo della ricerca sui precursori vulcanici. Integrare i ghiacciai tra gli strumenti di monitoraggio significa non solo comprendere meglio la complessa relazione tra ghiaccio e magma, ma anche offrire un contributo concreto alla riduzione dei rischi naturali per milioni di persone che vivono nelle regioni vulcaniche del pianeta.